        Da uno sponsor petrolifero ad uno che fa lubrificanti per il team ufficiale Honda HRC. Con l&rsquo;uscita di scena di Repsol a fine stagione dopo 30 anni di collaborazione, la compagine guidata da Alberto Puig ha preso accordi con l&rsquo;attuale main sponsor del team LCR lato Zarco, ovvero Castrol.&nbsp; Cambio di sponsor dunque per il team ufficiale Honda dopo gli innesti preziosi di Romano Albesiano nel ruolo di Direttore Tecnico e di Aleix Espargar&ograve; come tester ufficiale, entrambi in arrivo da Aprilia. HRC-Castrol, un deja v&ugrave; che sa tanto di Superbike   Operazione nostalgia, dunque, per il team ufficiale HRC ed un chiaro rimando agli anni di Castrol sulle carene delle Honda RC del Mondiale Superbike portate in pista dalla struttura di Neil Tuxworth, con in sella piloti iconici come Aaron Slight, John Kocinski, Carl Fogarty e Colin Edwards.&nbsp; Castrol e Honda nel Mondiale delle derivate si sono portati a casa ben tre titoli piloti: 1997 con John Kocinski, 2000 e 2002 con Colin Edwards e la VTR1000SP2 bicilindrica. Due team con lo stesso sponsor?  Salvo imprevisti (che significano una richiesta di cambio sponsor), nel 2025 ci saranno in pista ben tre RCV213 con lo stesso main sponsor ovvero le due ufficiali di Mir e Marini e quella LCR di Zarco che saranno in livrea Castrol. Una situazione abbastanza surreale, un caso simile a quello di quest&rsquo;anno dei team KTM ufficiale e Tech3 GasGas con lo stesso sponsor RedBull.       

Dal 2025 sulle carene delle RCV ufficiali di Mir e Marini comparir&agrave; lo sponsor attualmente sulla moto del team satellite LCR

MotoGP: il post Repsol di HRC si chiama Castrol

        Ormai ci siamo, ultimo round della stagione. Gli occhi del mondo sono tutti su Toprak Razgatlioglu e Nicol&ograve; Bulega per il titolo piloti. Il primo per bissare il successo del 2021 e il secondo per ripetere l&rsquo;impresa di Spies del 2009 da rookie della Superbike.&nbsp; La storia del Mondiale Superbike ci insegna che tanti altri mondiali si sono decisi nell&rsquo;ultimo round utile della stagione. Vediamo dunque quali sono stati i round decisivi per l&rsquo;assegnazione del titolo iridato. Manfeild  Primissimo title decider della storia del Mondiale Superbike &egrave; stato il tracciato neozelandese di Manfeild, in calendario dal 1988 al 1990 tornando nel 1992 dopo un anno di assenza. Fred Merkel vince il titolo nel 1988, a scapito di Davide Tardozzi, e fa il bis nel 1989, mentre Doug Polen vince il secondo titolo nel 1992. Estoril   Nel 1993 doveva essere il penultimo atto del Mondiale vista l&rsquo;introduzione del tracciato di Citt&agrave; del Messico ma con la cancellazione del round messicano, Estoril &egrave; stato lo scenario della vittoria del titolo di Scott Russell. Nel 2020 &egrave; ultimo atto di una stagione particolare e vede Jonathan Rea vincere per la sesta volta in carriera il titolo piloti. Phillip Island   Anche la magnifica pista australiana &egrave; stata teatro di discorsi iridati nel triennio 1994-1996 e pi&ugrave; precisamente di colore rosso Ducati. A vincere il titolo a Phillip Island sono stati Carl Fogarty nel 1994-95 e Troy Corser, pilota di casa, nel 1996 davanti al &ldquo;vicino di casa&rdquo; Aaron Slight. Scopri le altre nella prossima pagina &nbsp; Sugo  Sulla pista giapponese nel 1998 il Mondiale se lo contendono Troy Corser ed Aaron Slight. La caduta di Corser nel warm up (lesione alla milza e fratture delle costole) apre la strada al neozelandese Slight per portarsi a casa il titolo. Ma come dice il famoso detto &ldquo;tra i due litiganti il terzo gode&rdquo; alla fine &egrave; Fogarty a portarsi a casa il suo terzo titolo mondiale. Brands Hatch  &nbsp; Esattamente come per Sugo nel 1998, one shot come title decider anche per la pista inglese nel 2000. Anche se la vittoria del titolo di Colin Edwards &egrave; arrivata in un modo non propriamente da campionato mondiale: squalifica confermata per Haga per quanto accaduto a Kyalami (il giapponese era risultato positivo ad un controllo antidoping dopo la gara) e titolo a Colin prima della partenza della gara Imola  &nbsp; Imola 2002 una gara che rimarr&agrave; nella leggenda del Mondiale Superbike: una battaglia epocale tra Bayliss ed Edwards fino alla bandiera a scacchi di gara-2. Vince Edwards che si porta a casa anche il titolo ma gli applausi vanno anche a Bayliss per la gara disputata. Magny-Cours   Il tracciato di Nevers Magny-Cours entra in calendario nel 2003 e gi&agrave; nel 2004 &egrave; teatro del primo titolo iridato. A contenderselo i due piloti Ducati Laconi e Toseland, con quest&rsquo;ultimo a portarselo a casa a scapito del compagno di box. Nel 2007 la pista francese &egrave; ancora teatro di un titolo iridato, ancora protagonista Toseland ma questa volta contro Haga. I piazzamenti nelle due gare consentono all&rsquo;inglese di prendersi il secondo alloro iridato. Finale thrilling invece nel 2012 con la sfida tra Biaggi, iridato nel 2010, e Tom Sykes. Biaggi rischia tantissimo vincendo il titolo al termine di gara-2 per solo mezzo punto su Sykes. Scopri le altre nella prossima pagina &nbsp; Portimao  &nbsp; Un&rsquo;altra one shot come title decider dopo Sugo, Brands Hatch ed Imola &egrave; il rollercoaster dell&rsquo;Algarve, entrato in calendario nel 2008. Nel 2009 &egrave; subito protagonista come atto finale della sfida titolata tra il rookie della SBK Ben Spies e Noriyuki Haga. A spuntarla sar&agrave; proprio l&rsquo;alfiere di Yamaha con la vittoria in gara-1 ed il quinto posto di gara-2 grazie allo zero di Haga in gara-1. Jerez  &nbsp; Il circuito andaluso entra in calendario nel 1990 come primo atto della nuova stagione (doppietta di Roche con la Ducati, ndr). Nel 2013 la pista viene riproposta in calendario come atto finale della sfida tra Tom Sykes (Kawasaki) ed Eugene Laverty (Aprilia). L&rsquo;irlandese vince entrambe le gare ma Sykes si porta a casa il titolo &ldquo;vendicando&rdquo; Magny-Cours dell&rsquo;anno prima. Nel 2023 &egrave; teatro del confronto tra Alvaro Bautista e Toprak Razgatlioglu per il titolo che va allo spagnolo con una perentoria tripletta bissando quello ottenuto nel 2022. Losail  &nbsp; Il tracciato qatariota ha vissuto due &ldquo;stint&rdquo; all&rsquo;interno del calendario del Mondiale Superbike: il primo dal 2005 al 2009 come round di apertura o secondo della stagione, il secondo dal 2014 al 2019 come atto finale. Nel 2014 il tracciato di Lusail rientra come round di chiusura della stagione, vissuta tutta sul duello tra Tom Sykes, campione in carica, e Sylvain Guintoli (Aprilia). Il francese vince entrambe le gare con Sykes terzo prendendosi l&rsquo;unico titolo iridato della sua carriera (prima di vincere in EWC)&nbsp; Mandalika  &nbsp; L&rsquo;Indonesia mancava in calendario addirittura dal 1997 con la tappa di Sentul. Nel 2021 viene costruito il tracciato di Mandalika per riportare l&rsquo;Indonesia nel Mondiale (ci arriver&agrave; dopo la MotoGP) come atto finale di una meravigliosa sfida tra Toprak Razgatlioglu con la Yamaha e Jonathan Rea con la Kawasaki. Rea vince entrambe le gare (annullata la Superpole Race), con il secondo posto di gara-1 che basta a Razgatlioglu per prendersi il primo titolo iridato.       

Nel fine settimana la Superbike si appresta a vivere sul tracciato andaluso l&rsquo;ultimo round della stagione che assegner&agrave; il titolo piloti 2024 ed a contenderselo sono Razgatlioglu ed il rookie Bulega

Jerez e non solo: i “title deciders” della SBK

        Gli occhi di Carl Fogarty, sgranati, posseduti. La capacit&agrave; di fulminare con lo sguardo, la trasparenza di un uomo disposto a tutto, finestra sull&rsquo;abisso di un pilota feroce, pronto a mordere, istintivo, spietato, mai diplomatico. Parole come candelotti di dinamite, quelle del britannico classe 1965: non aveva freni di fronte ai microfoni. Il discorso andava sempre nella stessa direzione, sminuire gli avversari e aumentare la propria statura. Quella di una figura che 30 anni fa metteva le mani sul primo di quattro titoli iridati in Superbike, tutti in rosso, sulle Ducati. Risultati capaci di elevarlo a simbolo di un campionato che assieme a lui ha vissuto una delle sue parentesi pi&ugrave; avvincenti e convincenti, dove le scintille espresse in pista hanno innescato dialoghi di fuoco, litigi, polemiche e anche di pi&ugrave;. Come al parco chiuso di Assen nel 1998, quando il compagno di colori Pierfrancesco Chili, furioso, secondo alcune cronache avrebbe mollato all&rsquo;inglese un colpo sul casco prima di prenderlo a male parole. Fogarty nella zuffa &egrave; sempre apparso a suo agio, mai un passo indietro. Difendeva con i denti una posizione esclusiva e sofferta, quella di numero 1 delle derivate di serie, in uno sport che l&rsquo;aveva costretto a scalare gradini alti e insidiosi: a 20 anni lo status di promessa, poi un paio di infortuni che avevano messo tutto in discussione, costringendolo a rialzarsi sulle proprie gambe, mettere mano al portafogli e dimostrare quanto valeva con una moto che pi&ugrave; privata non si poteva. In fondo a quell&rsquo;abisso, nelle profondit&agrave; di un ragazzo che puntava in alto, grinta e ostinazione hanno alimentato la luce della consapevolezza fino alla consacrazione. Perch&eacute; ai suoi occhi rapiti, capaci di trasmettere qualcosa di simile a ci&ograve; che Stanley Kubrick ha estratto da Jack Nicholson in &ldquo;Shining&rdquo;, il successo &egrave; sembrato possibile anche quando il buio era totale. Da qui la sicurezza che l&rsquo;ha fatto sentire in diritto di esprimersi come voleva. Anche a costo di provocare qualche smorfia. E parecchie repliche.  Passa alla prossima pagina La newsletter di Motosprint &nbsp; Intervista a Carl Fogarty  Eri, e rimani, amatissimo: come te lo spieghi? &ldquo;Forse le persone rivedevano in me alcuni aspetti di loro. In fondo ero un ragazzo qualunque venuto da Blackburn, in Inghilterra, che non aveva paura di dire cosa pensava. Un uomo di famiglia, con moglie e figli, che della popolarit&agrave; se ne fregava. Io volevo correre e vincere, punto. Il resto non mi interessava&rdquo;. Il tuo stile, decisamente aggressivo, pu&ograve; aver contribuito? &ldquo;Per essere il numero 1, serviva anche quello. Non saprei dire se era una cosa che avevo dentro da sempre, penso sia emersa durante il mio percorso. Si impara sempre, in fin dei conti. Si migliora: non soltanto come piloti, ma anche come persone&rdquo;. Le due cose vanno insieme? &ldquo;Da uomo, devi imparare a essere onesto con te stesso e consapevole delle conseguenze che proietti su chi ti sta attorno. Quando fai questo mestiere, a volte puoi non essere di buon umore e ci&ograve; si riflette sulle persone che ami&rdquo;. Eri intrattabile, quando perdevi? &ldquo;Diciamo che non sapevo lasciarmi alle spalle un cattivo risultato. Il tormento mi accompagnava a casa e fino alla gara successiva, quando avrei avuto l&rsquo;opportunit&agrave; di rifarmi. In quei giorni non era facile avere a che fare con me: parlavo poco, e quando lo facevo ero brusco. Rimuginavo. Mia moglie Michaela &egrave; sempre stata al mio fianco: lo sapeva, che il mio era uno sport da egoisti. &Egrave; stata una figura importante: avere qualcuno con cui condividere i momenti belli, ma soprattutto brutti, non va sottovalutato. Mi ha ascoltato e dato conforto, Con lei potevo esprimere liberamente la mia frustrazione&rdquo;. Sei sempre stato &ldquo;in fissa&rdquo; con la vittoria? &ldquo;Da ragazzino, a 12 anni, se a scuola giocavamo a calcio e perdevamo, per me era un dramma. Ai miei compagni sembrava importare poco e il loro atteggiamento mi infastidiva: mi ha fatto anche capire che gli sport di squadra non facevano per me. Avrei dovuto fare troppo affidamento sugli altri&hellip;&rdquo;. Le tue sparate contro gli avversari, da pilota, come le spieghi? &ldquo;Ero fatto cos&igrave;. Quando mi sentivo minacciato da qualcuno dicevo qualcosa per metterlo sul &lsquo;chi va l&agrave;&rsquo;, oppure per umiliarlo. Il vero obiettivo, per&ograve;, era mettere pressione a me stesso, perch&eacute; a quel punto non potevo pi&ugrave; tirarmi indietro. A me non piaceva, quando si parlava bene di qualcun altro: pensavo di doverci essere io, al centro dell&rsquo;attenzione. Cos&igrave;, prima delle gare, ero sempre l&igrave; ad &lsquo;azzuffarmi&rsquo; con Colin Edwards, Scott Russell, Aaron Slight o John Kocinski&rdquo;. A gran parte del pubblico sembrava piacere, questo show. &ldquo;Io non lo vivevo come un gioco. Non ero l&igrave; per farmi degli amici. Non ero un tipo Solare e nemmeno timido, oppure tranquillo o facile. Li detestavo veramente, i miei avversari&rdquo;. Sei mai finito nei guai a causa di una dichiarazione? &nbsp;&ldquo;Nessuno, team o sponsor, ha mai messo un paletto a ci&ograve; che potevo dire. Che sia chiaro: anche gli altri piloti erano aggressivi quando parlavano di me. Avevamo personalit&agrave; forti&rdquo;. Ti sei mai pentito di una cosa detta? &ldquo;Forse in alcuni casi ho esagerato. Per esempio, quando ho chiamato i miei due maialini Scott e Aaron (come Russell e Slight, nde). Vivevano nella mia piccola fattoria inglese, insieme ad anatre, cavalli, cani e altri animali. In ogni caso, sulla stampa non &egrave; che insultassi gli altri: ero piuttosto uno spaccone, spavaldo. Tipo: la prossima la vincer&ograve; io, lui non pu&ograve; battermi, non &egrave; forte come me!&rdquo;. Passa alla prossima pagina &nbsp; Carl Fogarty e le sue moto  Qual &egrave; la migliore moto che hai guidato? &ldquo;La seconda versione della Ducati 916, nel 1995. Rispetto alla precedente mi permetteva di essere pi&ugrave; dolce e, di conseguenza, regolare&rdquo;. A livello tecnico, cos&rsquo;era cambiato rispetto al 1994? &ldquo;Piccole cose. La posizione di guida, con i manubri un po&rsquo; pi&ugrave; alti, per mettermi maggiormente a mio agio. Il forcellone era un pelo pi&ugrave; lungo e la moto, davanti, pi&ugrave; alta. Il motore, inoltre, aveva pi&ugrave; spinta&rdquo;. Ricordi una gara in particolare in sella alla 916? &ldquo;Brands Hatch, dove non avevo mai vinto prima del 1995, in nessuna categoria. Quell&rsquo;appuntamento coincise con il ritorno delle grandi folle in Inghilterra, come non si vedeva dai tempi di Barry Sheene, a decine di migliaia. Mi sentii tutt&rsquo;uno con la moto dal primo turno di prove. Ogni curva, ogni marcia inserita o tolta: era tutto perfetto, sotto controllo&rdquo;. Un feeling irripetibile? &ldquo;S&igrave;, perch&eacute; nella gara successiva le sensazioni erano gi&agrave; leggermente diverse. Magari un problemino al telaio, oppure alla gomma posteriore. E guidare diventava una battaglia. Se la moto non teneva una determinata traiettoria dovevo forzare con il fisico, cambiare stile, essere pi&ugrave; aggressivo&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Carl Fogarty: i rivali, le vittorie  Se ti dico &ldquo;accappatoio blu&rdquo;, cosa ti viene in mente? &ldquo;Assen 1998, l&rsquo;episodio con Chili. Eravamo compagni di marca, entrambi in lizza per il Mondiale. Pensavo che lui avesse un motore pi&ugrave; veloce del mio: riflettendoci adesso, forse, era una fantasia, ma l&igrave; per l&igrave; ne ero convintissimo. All&rsquo;ultimo giro di Gara 1 mi aveva superato sul dritto e aveva vinto. In Gara 2 provai a evitare che passasse, ma ci riusc&igrave; lo stesso. All&rsquo;ultima chicane mi infilai all&rsquo;interno senza problemi e vinsi. Pensavo che Chili fosse secondo, invece era caduto&rdquo;. Al tuo arrivo al parco chiuso, resoconti alla mano, Chili ti avrebbe mollato una botta sul casco. Rincarando poi la dose in conferenza stampa, dove si present&ograve; in accappatoio: voleva che la Ducati ti impedisse di correre l&rsquo;ultimo round della stagione. &ldquo;Penso si stesse lamentando per come avevo guidato sul dritto all&rsquo;ultimo giro. Ma non era nemmeno contento del suo errore. Aveva buttato la possibilit&agrave; di vincere il titolo&rdquo;. Alla fine, quel Mondiale 1998 l&rsquo;hai vinto tu. &ldquo;Fui fortunato. Non stavo guidando affatto bene, in quella stagione. Non ci mettevo il cuore, e nemmeno la testa. Durante le prove, per esempio, non lavoravo nel modo migliore per scegliere la gomma posteriore giusta e preparare la moto. Poi ci furono alcune gare sul bagnato in cui andai male. Avevo pure un problemino a un ginocchio e una noia alla schiena, ma erano scuse. Ero distratto, pensavo addirittura di ritirarmi. Non so di preciso perch&eacute;, ma mi ero stufato&rdquo;. Come fu il ritorno in carreggiata? &ldquo;Le cose cambiarono dopo un discorsetto di Davide Tardozzi, il mio boss nel box Ducati. Eravamo a Laguna Seca, quintultimo round del campionato. Mi disse chiaro e tondo che dovevo smettere di fargli perdere tempo. Di piantarla con le scuse e prendermi quel Mondiale. Ne avevo le capacit&agrave; e il carattere, dipendeva da me. Altrimenti, sarebbe stato meglio smettere. Quelle parole furono uno shock: nessuno mi aveva mai parlato cos&igrave;. Era proprio quello che mi serviva. Nei successivi quattro appuntamenti andai fortissimo e vinsi il mio terzo titolo. Ero tornato in forma, entusiasta, determinato. Sfruttai quello slancio anche nel 1999, facendo il poker&rdquo;.  Passa alla prossima pagina &nbsp; Carl Fogarty: non solo SBK  I tuoi titoli sono tutti arrivati con le Ducati: a proposito di Rosse, nel 1993 prendesti parte al GP di Donington sulla Cagiva 500, che faceva parte dello stesso gruppo del marchio emiliano. &ldquo;Nonostante il notevole salto dalle derivate di serie ai prototipi, dalle quattro alle due tempi, venerd&igrave; avevo il secondo crono. La sera pensai: chiss&agrave;, forse posso vincere? Ma ero nel caos: non riuscivo a capire cosa fare con i rapporti del cambio, se la seconda era troppo corta e la terza eccessivamente lunga, per esempio. Il piano era di occuparmene il sabato, ma caddi subito, forse per un calo di concentrazione, e buttai la prima sessione della giornata. Il team sistem&ograve; la moto in tempo per il secondo turno, ma quando scesi in pista tartagliava. Mi qualificai quinto, non male, ma senza sentirmi a posto. In gara risalii in zona podio, poi persi tempo per un problemino con la leva del freno anteriore, che dovetti registrare mentre guidavo. All&rsquo;inizio dell&rsquo;ultimo giro, con la gomma dietro finita gi&agrave; da un po&rsquo;, la moto riprese a balbettare. Uscii dal penultimo tornantino con mezzo secondo di vantaggio su Niall Mackenzie, entrai nell&rsquo;ultima curva velocissimo, per guadagnare metri. Aperto il gas, in prima marcia, la Cagiva acceler&ograve;, ma appena infilai la seconda si ammutol&igrave;. Che beffa: fui quarto a un soffio dal podio&rdquo;. Senza tutti quei problemi, cosa avresti potuto fare? &ldquo;Sfruttando le prove, con il tempo di sistemare i rapporti del cambio, prendere confidenza e scegliere la gomma posteriore giusta, forse avrei vinto&rdquo;. Con le due tempi ti eri cimentato soprattutto agli inizi. &ldquo;Da ragazzo sognavo di diventare campione del Mondo della 250. Sulle quarto di litro, nel 1986, in Inghilterra vincevo a raffica. Riuscii a partecipare come wild card al GP di Silverstone dove, sotto la pioggia, chiusi undicesimo. Visto il bel risultato, qualche giorno dopo ebbi un incontro con un team per passare al Mondiale, ma due settimane pi&ugrave; tardi caddi facendomi male a una gamba. Cos&igrave; la mia grande chance and&ograve; a farsi benedire. Persi il resto del 1986 e nel 1987 mi fratturai di nuovo&rdquo;. Poi il passaggio alle moto &ldquo;grosse&rdquo;: le cose ripresero a girare. &ldquo;Nel 1991 ero nel mondiale Superbike, ma con una Honda obsoleta. Non andai oltre il settimo posto: sapevo che le ragioni erano tecniche, ma come facevo a convincere chi mi poteva dare fiducia? Cos&igrave; per il 1992 comprai una Ducati, mettendo sul piatto con il mio sponsor i soldi necessari per salire su un mezzo con cui mostrare che potevo stare con i migliori. Lo feci vincendo Gara 2 del round inglese, da privatissimo, quell&rsquo;anno mi misi in mostra in mille modi. Nella tappa di Donington del Mondiale 500 caddi sull&rsquo;olio di un altro pilota mentre ero quinto-sesto. Al Tourist Trophy firmai il nuovo record sui 60 km del Mountain Course. Vinsi il mondiale Endurance su una Kawasaki. Fu difficile dimostrare quanto valevo, ma c&rsquo;ero riuscito. La Ducati mi ingaggi&ograve; per correre il mondiale Superbike del 1993 da ufficiale. Il resto &egrave; storia&rdquo;. Qual era il tuo punto di forza, come pilota? &ldquo;Il mio stile da 250, penso. Guadagnavo tutto in ingresso e percorrenza di curva, con grandi angoli di piega. Gli altri invece avevano una guida stop-and-go, con frenate e accelerazioni brusche, meno scorrevolezza. Certo, se li avevo davanti, superarli poteva essere difficile. Ma se avevo spazio, non ce n&rsquo;era per nessuno&rdquo;. MotoGP orari GP Austria 2024       

La nostra intervista esclusiva a Carl: "Non avevo paura di esprimere ci&ograve; che pensavo e vincevo grazie al mio stile, sia in pista che fuori"

SBK, Fogarty: "Ero amato perché la gente si rivedeva in me" | Storie Sprint

        Ah, il sorpasso, gesto sublime dello sport che, applicato alle due ruote, &egrave; addirittura da considerarsi forma d'arte. Superare l'avversario - o gli avversari - non &egrave; affatto semplice a bordo di una motocicletta, perch&eacute; bisogna sommare la volont&agrave; dell'attaccato di resistere all'attaccante, oltre al limite di moto, gomme e pista. Uscire dai confini e ritrovarsi nelle vie di fuga &egrave; atto da evitare e, nell'elenco ivi proposto, si tiene conto del puro talento citano, indipendentemente dai titoli vinti o non vinti. Esempi di fuga solitaria quali Giacomo Agostini e Freddie Spencer, tralasciati, spiegano il senso dell'articolo. Calendario MotoGP 2024 Phil Read, il "cattivo" britannico Veniva ricorcado con epiteti e soprannomi poco lusinghieri, tuttavia - dicono - calzanti al personaggio. Phil Read passava da "filo di ferro" a "figlio di buona donna", proprio perch&eacute; quando decideva di entrare, se ne infischiava di eventuali contatti e carenate. Anzi, a dispetto del pericolo, l'inglese provava addirittura compiacimento nel sentire carene e corpi altrui picchiare contro la propria moto o, perch&eacute; no, ginocchia e braccia. Con la Yamaha il nativo del Bedfordshire faceva un po' paura, ma con la MV Agusta incuteva reale timore. Ecco il motivo per cui chi lo ha conosciuto, lo ricorda previo grosso rispetto.  Loris Capirossi, tutto o niente Puro "racer", Loris Capirossi faceva del coraggio una delle sue principali qualit&agrave;. Espressosi ad alto livello immediatamente in 125, competitivo in 250, in crescita nella 500, poi tornato in dueemmezzo, ancora nella mezzo litro, infine in MotoGP. Due o quattro tempi? No problem per&nbsp; Capirex, originario a mezzo passo da Imola, circuito dove si impara davvero a superare il nemico, ops, l'avversario. Il numero 65, iconico, ha messo in pista un cuore enorme, al pari di attributi cos&igrave;. Andando anche incontro a episodi come il contatto condiviso con Tetsuya Harada in Argentina nel 1998, uscendone con alloro di classe e ragioni del caso.  Valentino Rossi, l'attimo fuggente Da dove cominciamo con Valentino Rossi?! Jerez 2005 MotoGP, tamponamento sferrato a Sete Gibernau all'ultima curva a precedere la bandiera a scacchi?! S&igrave;, episodio rimasto in cima alle visualizzazioni per anni. Vi &egrave; piaciuto l'ingresso&nbsp; - con divagazione nella via di fuga, &egrave; giusto ricordarlo - di Laguna Seca 2008 ai danni di Casey Stoner?! Fantastico. Per&ograve;, vista da qui, in quanto a pulizia e correttezza della manovra, nulla supera (gi&agrave;) Barcellona 2009. Tornata finale del Gran Premio di Catalunya, pochi metri da completare e traguardo in vista, piega destrorsa e veloce fino al "zac", fendente improvviso, che ha lasciato il maiorchino di sale e battuto. Uno dei sorpassi pi&ugrave; belli di sempre.  Marc Marquez, il "menefreghista" Malgrado critiche, insulti e quant'altro, Marc Marquez &egrave; rimasto e rimarr&agrave;, pensiamo, s&eacute; stesso. Che vuol dire? Vuol dire che non gliene cale granch&eacute; di aver "imitato" Valentino Rossi a Jerez, ancora su Jorge Lorenzo nel tornante dedicatogli, lo stesso dove Sete Gibernau pat&igrave; il colpo.&nbsp; Chissene se anche a Laguna Seca ha fatto come il numero 46, prpprio sul numero 46. MM93 piace cos&igrave; com'&egrave;, temerario e costantemente al cento per cento. Altrimenti, non sarebbe l'asso che conosciamo. A proposito di sorpassi, micidiale le imprese in Moto2 di Phillip Island 2011, dalla casella 38 al terzo gradino del podio, Giappone 2012, da ventinovesimo a primo, Valencia dello stesso anno, dalla trentatreesima posizione alla vittoria.  John Surteess, 2 o 4 ruote? No problem Questo era bravo davvero, poich&eacute; capace di farsi largo e vincere sia nel Motomondiale che in Formula 1. Sir John Surteess, Signore &amp; Signori, vero gentleman fuori dai cordoli e tremendo tra i cordoli stessi, per sorpassi compiuti con due o quatto ruote, a prescidere. Riprendere le misure tra una tipologia di veicolo e l'altra &egrave; cosa per pochi, lui ci &egrave; riuscito bene. Il pilota britannico &egrave; inserito tra i migliori di sempre, certo in virt&ugrave; dei risultati ottenuti, al pari delle capacit&agrave; di adattamento da mezzi meccanici assai differenti e comunque condotti al limite.  Kevin Schwantz, il visionario texano Potrebbe bastare l'entrata su Wayne Rainey, e il paragrafo su Kevin Schwantz sarebbe bell'e completo. Invece no, anche se quella classe 500 edizione 1991 e l'ingresso al Motodrom di Hockenheim restino - probabilmente - la quintessenza della guida esibita dal texano, che a volte immaginava di andare lungo, per poi frenare all'ultimo istante e oltre. Staccata a una mano destra, piede del medesimo asse a pestare il posteriore, avantreno infossato, retrotreno balzellante a destra e manca. Teoricamente, una dinamice del genere si conclude con un lungo, oppure, con una curva affrontata a bassa velocit&agrave;. Macch&eacute;, la Suzuki numero 34 tenne dietro la Yamaha campione del mondo, annichilendola al traguardo.  Michael Doohan, l'essenziale Preferiva inscenare la fuga ma, quando era necessario, sapeva superare deciso. Michael Doohan ha compiuto pochi sorpassi in carriera, perch&eacute; nelle stagioni valevoli di iride, costruiva praticamente sempre le vittorie partendo in pole e concludendo in testa. Ma parliamo di un australiano che sapeva sorpassare, altroch&eacute;. Per&ograve;, preferiva pensarci una volta, poi mai pi&ugrave;. Per lui duellare e scambiare posizioni reciprocamente, si trattava di tempo perso. A meno che non si trovasse in compagnia di John Kocinski, Wayne Rainey, Kevin Schwantz e Alex Criville. B&egrave;, no: lo spagnolo viene ricordato meno volentieri: ricordate Eastern Creek 1996? La Honda tir&ograve; a terra una seconda Honda, che poi era la prima. Ne giov&ograve; Loris Capirossi.  Regis Laconi, il selvaggio francese Era italo-francese, per la precisione. Regis Laconi, con origine sarde ma nato a Saint Dizi&egrave;r, sapeva sorpassare, quasi sempre con il posteriore in salto e ruota a 25 centimetri da terra. Sapete una cosa dl lui? Riusc&igrave; a vincere una gara in 500 a Valencia nel 1999 e in pi&ugrave; occasioni della differente SBK. Gli &egrave; mancato un pizzico per titolarsi, ma attenzione al dato: nel Curvone Biassono di Monza, a bordo della Ducati 999, deteneva il record di velocit&agrave; in percorrenza: qualcosa come 271 chilometri orari rilevati all'uscita, che precedeva la Variante della Roggia, affrontata comunque rapidamente.  Anthony Gobert, interno ed esterno Gli avran pur dato del "matto", ma era un manico esagerato, capace di oltrepassare limiti meccanici e della fisica. Anthony Gobert, australiano approdato in Europa e andatosene lasciando il segno, in doti di guida secondo era a nessuno. Poi, s&igrave;, esagerava, ma perch&eacute; indomito e sprovvisto di una solida strategia. Per lui il sorpasso era pi&ugrave; importante del risultato finale, che fosse compiuto all'interno o all'esterno, come se la questione fosse contro l'avversario e non in termini di classifica. E lo era. Il "Go Show" dur&ograve; poco, per&ograve; bene: se ne ricordano Aaron Slight in SBK e Darryl Beattie in 500.  Carl Fogarty, inglese in stile Tourist Trophy Dunque, lui stesso lo ha ammesso, per&ograve; anni dopi non esserci pi&ugrave; andato: il Tourist Trophy &egrave; gara bella, per&ograve; folle. Quanto &egrave; passato definitivamente ai pi&ugrave; sicuri cordoli accompagnati da vie di fuga, Carl Fogarty non si &egrave; pi&ugrave; voltato, come se alle sue spalle fosse stato creato un vuoto. E in gara gli piaceva fare cos&igrave;, bench&eacute; fosse pronto tutto pur di superare. Basterebbe chidere a Pierfrancesco Chili, oppure a Lothar Kraus, doppiato e ritrovatosi in traiettoria del Re britannico. Si trattava di Nurburgring SBK 1999, finita in successo per l'inglese, e caduta per il tedesco, buttato gi&ugrave; senza piet&agrave;, e la foto lo spiega: che cavolo ci facevi l&igrave; in mezzo?!&nbsp;  Brad Binder, l'aerodinamico I piloti giurano come sia impossibile o difficilissimo effettuare sorpassi nell'attuale MotoGP, in quanto pesantemente condizionata da elettronica, aerodinamica e gomme uguali per tutti. Sar&agrave;, ma Brad Binder interpreta la categoria "al contario", ovvero, saltando i rivali spesso e volentieri. E lo fa di traverso, azione ancor pi&ugrave; difficile, proprio perch&eacute; la volont&agrave; di telaio e alettoni sarebbe di mantene ruota anteriore e posteriore sullo stesso asse. Il sudafricano, vero talento a servizio della KTM, &egrave; uno dei protagonisti pi&ugrave; divertenti da ammirare.  Troy Bayliss, lo squarciagole Il mitico Giovanni DI Pillo lo ammise ripetutamente: "Ho urlato tanto nelle mie telecronache, ho rischiato di perdere la voce, ma Troy Bayliss mi fece esagerare, specialmente a Monza 2000. Saltar a pi&egrave; pari gente del calibro di Frankie Chili, Akira Yanagawa, Noriyuki Haga e Colin Edwards". Giusto, come &egrave; vero che l'australiano ha poi correttamente impostato le traiettorie della Prima Variante, a dimostrare la misura per mezzo della quale salt&ograve; gli avversari. Per il "carrozziere" della SBK Monza era una novit&agrave;, e un conto &egrave; sopravanzare un avversario, un conto &egrave; farne fuori quattro.         

Indipendentemente da vittorie e non, i nomi elencati detengono doti fuori dal comune nel superare i rivali

I "Sorpassatori" più feroci del Motociclismo

        Il numero di gara ha sempre identificato un pilota nello specifico, pensiamo al 3 di Biaggi, al 46 di Valentino Rossi, il 27 di Stoner, il 26 di Pedrosa o, tornando indietro nel tempo, il 7 di Barry Sheene con la Suzuki negli anni 70. Capita per&ograve; che in alcuni casi un pilota magari appena approdato in MotoGP &ldquo;prenda&rdquo; il numero, se non &egrave; stato ritirato, del collega.&nbsp; Vediamo quali sono stati i vari casi 155: Yari Montella &ndash; Ben Bostrom  &nbsp; Nel recente weekend del CIV a Misano, il pilota campano del team Barni in Supersport ha disputato le due gare del campionato tricolore nella Supersport indossando il numero 155 invece del suo abituale 55, numero gi&agrave; occupato da un certo Massimo Roccoli. Il team Barni ha colto l&rsquo;occasione per fare un curioso post social nel quale vengono raffigurati Montella ed una leggenda della Superbike come Ben Bostrom accomunati dal numero di gara, il 155. Va per&ograve; detto che BB scelse quel numero come &ldquo;omaggio&rdquo; al numero del servizio clienti di Infostrada, il 155 appunto.             Visualizza questo post su Instagram  Un post condiviso da Barni Racing Team - Ducati (@barniracingteam)      &nbsp; 21: Rinaldi &ndash; Bayliss  &nbsp; Questo &egrave; uno di quei numeri che &ldquo;scottano&rdquo; perch&eacute; appartenuti ad una vera e propria Leggenda del Mondiale Superbike, ovvero Troy Bayliss. Il buon Michael Rinaldi negli anni in Stock utilizzava il numero 12 (altro numero della carriera di Bayliss, ma in MotoGP) mentre in Superbike ha dovuto prendere il 21, chiedendo a Troy il permesso di usarlo, perch&eacute; il 12 era occupato da Xavi Fores. 11: Xaus &ndash; Corser  &nbsp; Restiamo in Superbike e parliamo di Ruben Xaus. Lo spagnolo, dopo una wild card nel 1998 con la Suzuki e le tre stagioni successive in Supersport, nel 2001 balza in Superbike nel team ufficiale Ducati accanto a Troy Bayliss prendendo il numero 11, numero appartenuto in passato a Troy Corser (che poi si &egrave; ripreso nel 2005 per tenerselo fino al 2007) 111: Xaus &ndash; Slight  &nbsp; Dopo l&rsquo;esperienza in MotoGP del biennio 2004-2005, lo spagnolo nel 2006 torna in SBK sempre con il suo caro 11 per poi abbandonarlo nel 2007 a favore del 111, numero appartenuto ad un altro grande del Mondiale Superbike, ovvero il neozelandese Aaron Slight. &nbsp; 27: Lecuona &ndash; Stoner   Un 27 su una Honda ufficiale fa sempre il suo effetto. Un po&rsquo; meno se a riportarlo su quel cupolino &egrave; lo spagnolo di Honda HRC in Superbike Iker Lecuona, che peraltro correva con quel numero gi&agrave; nel suo anno in Tech3 KTM prima di approdare proprio in HRC. L&rsquo;ultima volta che si &egrave; visto un &ldquo;27&rdquo; sul cupolino di Honda ufficiale &egrave; stato il 2011 con Casey Stoner. 58: Capirossi &ndash; Simoncelli  &nbsp; Questo cambio di numero &egrave; successo solo per la gara finale di Valencia del 2011, la gara dell&rsquo;omaggio a Simoncelli scomparso la settimana prima nell&rsquo;incidente al secondo giro a Sepang. Loris Capirossi ha voluto rendere omaggio al Sic indossando per quell&rsquo;unica volta (l'ultima della carriera di Capirex) il numero 58 tanto caro a Marco. 7: Checa &ndash; Sheene, Vermeulen-Sheene, Lecuona-Checa  &nbsp; L&rsquo;iconico numero 7 nella storia ha subito un po&rsquo; di cambi di mano, pensando sempre al grande Barry Sheene che ha portato quel numero sulla Suzuki 500 negli anni 70. Il primo pilota ad indossarlo &egrave; stato Carlos Checa nella sua lunga carriera tra MotoGP e Mondiale Superbike, poi &egrave; toccato all&rsquo;australiano Chris Vermeulen &ldquo;ereditarlo&rdquo; da Checa nel 2008 dopo il passaggio di quest&rsquo;ultimo in Superbike e oggi il 7 &egrave; sul cupolino della Honda CBR1000RR-R di Iker Lecuona. &nbsp; 20: Borciani &ndash; Romboni  &nbsp; Nel 1999 il grande &ldquo;Rombo&rdquo; Doriano Romboni disputa mezza stagione in Superbike in sella alla Ducati con il numero 20 sul cupolino prima di infortunarsi di nuovo alla gamba destra gi&agrave; infortunata nel 1993. L&rsquo;anno successivo, Borciani debutta in Superbike anche lui con Ducati &ldquo;ereditando&rdquo; da Doriano proprio il 20, numero che lo ha accompagnato fino alla chiusura della carriera.&nbsp; 4: Dovizioso &ndash; Barros  &nbsp; Questo numero c&rsquo;era in MotoGP fino a Misano dello scorso anno, prima che Dovizioso decidesse di ritirarsi definitivamente dalla MotoGP. Prima che il numero 4 (o 04) lo prendesse Andrea, in passato era il segno di riconoscimento del grande brasiliano Alex Barros che lo ha indossato dal 2001 al 2007, ultimo anno di carriera nel Motomondiale. 34: Dovizioso &ndash; Schwantz  &nbsp; Legato a Dovizioso per&ograve; &egrave; anche il suo primo numero di gara nelle classi minori, il 34, che apparteneva al grande Kevin Schwantz. Con il ritiro di Kevin nel 1995, il suo iconico numero non era pi&ugrave; indossabile, almeno in Top Class, mentre nelle classi minori c&rsquo;era libert&agrave; di utilizzo.       

I casi, tra CIV, Motomondiale e Superbike nei quali i numeri di gara sono appartenuti ad altri piloti pi&ugrave; famosi

Da Montella a Dovizioso: quando il numero scelto appartiene ad una leggenda

Anche per ragioni anagrafiche, Carl Fogarty &egrave; pi&ugrave; un fan degli Oasis che dei Beatles, ma la storia del mondiale Superbike lo associa alla leggendaria band di Liverpool. Perch&eacute; Foggy &egrave; l&rsquo;uomo dei Fab Four, i suoi titoli vinti tutti con la Ducati, e nell&rsquo;arco di sei stagioni negli anni &rsquo;90.  E dire che gi&agrave; prima di diventare campione del Mondo per la prima volta, l&rsquo;inglese aveva vissuto quello che lui stesso nella propria biografia ha chiamato &ldquo;Annus Mirabilis&rdquo;, il periodo tra 1992 e 1993. Quando prima del secondo posto nel mondiale Superbike, sfuggito per qualche errore di troppo nei duelli con Scott Russell, erano arrivati il titolo Endurance con la Kawasaki, i successi al Tourist Trophy con la Yamaha e persino una gara da protagonista a Donington nella 500 iridata, da wild card in sella alla Cagiva.  Ducati Story, Giancarlo Falappa: talento, cuore e follia  &nbsp;  I successi in sella alle creature bolognesi     Il 1992 coincise soprattutto con il primo successo iridato nella Superbike, a Donington, con la Ducati 888. &ldquo;Era una moto privata, vincere con un mezzo non ufficiale in mezzo a quei piloti fu una soddisfazione incredibile&rdquo; dice Fogarty, che in Gara 1 era stato al comando prima di cadere, poi in Gara 2 fu perfetto dall&rsquo;inizio alla fine.  I grandi successi arrivarono per&ograve; con la 916 e la 996, all&rsquo;interno di quattro titoli differenti tra loro: nel 1994, per esempio, per conquistare il primo alloro dovette lottare fino all&rsquo;ultima tappa, in Australia, mentre l&rsquo;anno successivo il dominio fu schiacciante, chiudendo con 139 punti di vantaggio su Troy Corser e chiudendo gi&agrave; ad Assen, con due round interi ancora da disputare.  Dopo l&rsquo;anno non troppo soddisfacente con la Honda, il 1996 che lo stesso Foggy ha definito &ldquo;un errore&rdquo;, pur lottando per il titolo fino all&rsquo;ultimo, ecco il ritorno a Borgo Panigale, coinciso con il secondo posto nel 1997 ma con una moto pi&ugrave; difficile del previsto. Queste difficolt&agrave; si trascinarono nel 1998, dove in un campionato combattuto l&rsquo;inglese conquist&ograve; il titolo pi&ugrave; improbabile all&rsquo;ultima tappa, a Sugo. Fogarty partiva sfavorito, preceduto da Corser e Aaron Slight, ma l&rsquo;australiano cadde nel warm up e dovette saltare le due manche, uscendo improvvisamente di scena. Il neozelandese, invece, si ritrov&ograve; a fare i conti con problemi di gomme (e non soltanto con guai di quel genere) e venne scavalcato da Fogarty, a cui bastarono un terzo e un quarto posto di manche per tornare sul tetto del Mondo per appena 4,5 punti.  Il 1999, anche in quel caso con una leadership netta, port&ograve; King Carl all&rsquo;ultimo trionfo, ottenuto a Hockenheim, nel giorno dell&rsquo;ultima vittoria in SBK. Un successo fortuito, dato che Slight e la Honda apparivano decisamente superiori. &ldquo;E di brutto&rdquo; ricorda Foggy, che invece venne favorito dalla chiusura anticipata per l&rsquo;esposizione della bandiera rossa.  Il ducatista, infatti, vinse in qualit&agrave; di primo pilota transitato sul traguardo al termine dell&rsquo;ultimo giro completato da tutti. &ldquo;Ricordo che mi bastava chiudere quella manche davanti a Corser e Colin Edwards per essere campione con tre manche d&rsquo;anticipo. Quando vidi risalire Slight cos&igrave; forte, pensando al campionato mi dissi: &lsquo;non mi metter&ograve; a battagliare con lui&rsquo;. Ero pronto ad accettare il secondo posto, poi venne esposta la bandiera rossa, che nemmeno vidi, e mi ritrovai vincitore&hellip; La mia ultima vittoria&rdquo;.  &nbsp;  Ricordi e rimpianti     I quattro titoli di Fogarty sono leggenda. Ma al britannico forse ne manca un quinto. Il primo rimpianto, come detto, &egrave; legato al 1993, con la sconfitta contro il rivale Russell. Ma quel secondo posto, Carl lo utilizz&ograve; come motivazione per prendersi il Mondiale successivo, vendicandosi sull&rsquo;americano della Kawasaki. In quel 1994 ottenne anche la prima vittoria in Italia, al Mugello, di fronte al popolo ducatista, ma dovendo associare l&rsquo;epopea di Fogarty a un circuito, non si pu&ograve; che citare Assen.  Ai tempi il circuito olandese veniva invaso dagli appassionati d&rsquo;Oltremanica, e per Fogarty era quasi un appuntamento di casa. &ldquo;Ho sempre amato vincere in Italia, in particolare a Monza, di fronte al pubblico italiano, e forse l&rsquo;emozione pi&ugrave; grande &egrave; stata nel 1999, con due vittorie davanti a Edwards. In Gara 2 sul momento stabilirono il successo di Colin, ma al fotofinish venni decretato vincitore per cinque millesimi. Ricordo il boato del pubblico, completamente impazzito di gioia. Il video di quella gara &egrave; qualcosa che amo riguardare, &egrave; da brividi. Ma era bellissimo anche vincere a Brands Hatch, dove sentivi davvero il pubblico vicino, a Misano e ovviamente a Donington. Ma ricordo bene anche il Mugello&rdquo;.  La lista &egrave; lunga, del resto Foggy ha vinto in ben 20 dei 28 circuiti in cui ha corso nel mondiale Superbike. E questa capacit&agrave; di primeggiare su piste cos&igrave; differenti tra loro &egrave; stata il segreto per i quattro titoli dell&rsquo;inglese.  Purtroppo Fogarty ricorda Phillip Island non soltanto per il primo Mondiale, ma anche perch&eacute; &egrave; il luogo della sua ultima gara, nel 2000. Dopo una bizzarra prima manche sul bagnato, vinta da Anthony Gobert su una Bimota motorizzata Suzuki, la seconda gara si prospettava asciutta. &ldquo;In Gara 1 avevo corso bene, finendo secondo. Ricordo di essermi detto: &lsquo;Bravo&rsquo;. Ero fiducioso in vista di Gara 2, ma poi ho pochi ricordi: quando ho mollato la frizione al via, quando sono finito su una chiazza bagnata, e il rumore dell&rsquo;elicottero&rdquo;. Quell&rsquo;elicottero trasport&ograve; Fogarty in ospedale e la prognosi a lungo termine raccont&ograve; molto del danno subito dalla sua spalla. Carriera finita. Tutto per colpa della collisione con la Ducati privata di Robert Ulm.  &nbsp;  L&#39;epilogo     Si chiudeva cos&igrave; la carriera del recordman assoluto ai tempi, poi superato dall&rsquo;amico di famiglia Jonathan Rea, ma a Foggy restano i primati di quattro titoli e 55 vittorie di manche (su 59 in totale) con la Rossa. Record che Troy Bayliss ha fatto vacillare, ma l&rsquo;australiano li ha soltanto sfiorati.  Fogarty ha sempre avuto ben chiaro come i record siano fatti per essere battuti, oltretutto la sua carriera al top della Superbike non &egrave; stata lunghissima. Ed &egrave; stata caratterizzata anche dal passaggio dalla competitiva Ducati alla scommessa &ndash; peraltro molto vantaggiosa a livello economico &ndash; rappresentata dalla Honda. Un cambiamento che non gli consent&igrave; di vincere nel 1996 e nemmeno nel 1997, quando ritrov&ograve; una Ducati sensibilmente cambiata in sua assenza.  Lo racconta lo stesso Foggy: &ldquo;Alla fine posso essere contento della mia carriera, e i miei record assoluti sono stati battuti da un grandissimo pilota come Jonathan, che oltretutto conosco da una vita. Quando corsi la North West 200 del 1987, suo nonno mi aiut&ograve;. Per&ograve; &egrave; vero: restando in Ducati, avrei potuto vincere anche nel 1996 e nel 1997. La moto in mia assenza cambi&ograve; cos&igrave; tanto che faticai anche nel 1998, quando pure vinsi il titolo. Senza voler mancare di rispetto a Corser, in quel &lsquo;96 in cui conquist&ograve; il Mondiale avrei potuto vincere ancora io con la Honda, pur non sentendomi mai al top. E con la Ducati, quell&rsquo;anno, avrei potuto dominare nuovamente, non avrei mai perso il titolo. Fu un mio errore, non si rompe con un team vincente e con una moto che rappresenta un prolungamento del tuo corpo: Mick Doohan o Jonathan Rea non hanno mai fatto una cosa del genere&rdquo;.  Anni persi? Forse. Ma resta la certezza dei quattro favolosi titoli, a testimonianza di quanto fosse magica la combinazione Fogarty-Ducati.  Luca Cadalora: &quot;Vi racconto cosa aveva di speciale la 250&quot; 

L&#39;inglese &egrave; l&#39;uomo dei record per Ducati: quattro titoli e 55 manche conquistate. &quot;Ma senza il passaggio in Honda, avrei vinto&quot;, ammette

Carl Fogarty e i quattro titoli leggendari | Ducati Story

        Ma quanto bello &egrave; sentirsi, ogni tanto, malinconici?! Parecchio, soprattutto se certi momenti sono stati vissuti di persona. La macchina del tempo oggi ci riporta al 1996, datato 27 ottobre. Esattamente 26 anni orsono, a Phillip Island un australiano veniva incoronato campione del mondo SBK. Lui era - ed &egrave; -Troy Corser. Doppietta di Gobert, ma titolo di classe a Corser. Slight a bocca asciutta  Tra i curvoni veloci e insidiosi di Phillip Island, la Siberia. Il nome spiega quanto, a volte, l&igrave; sia facile perdere l'avantreno in percorrenza, perch&egrave; la temperatura dell'asfalto &egrave; spesso fredda, comunque al di sotto dei valori registrati nelle altre pieghe. Chiedetelo ad Aaron Slight, scivolato malamente mentre provata il tutto per tutto. Il neozelandese e la Honda RC45 super ufficiale, con tanto di adesivo HRC in bella vista, si sono ritrovati nelle vie di fuga, anche perch&eacute; sollecitati da un certo Anthony Gobert, fenomenale e pazzo come un cavallo, a bordo della Kawasaki Ninja. A proposito, sul podio sal&igrave; due volte un ulteriore tipino rock and roll: Colind Edwards. Invece, tinto di rosso nei capelli, il conduttore della Verdona sigl&ograve; doppietta, Slight arriv&ograve; una volta al traguardo su due manche disputate, Corser ebbe altrettanti problemi: Troy centr&ograve; un gabbiano in Gara Uno, rompendo iil plexiglass della sua Ducati e rimanendo a quota zero. Meglio per lui il terzo posto del pomeriggio, con relativi punti pesantissimi. Troy e Ducati in primis, Troy e Suzuki in seconda istanza  Gi&agrave; che ci siamo, vi deliziamo con ulteriori brevi ricordi e bellissime foto accessorie. Come sapete, Corser corse (Ops, non &egrave; colpa nostra, giuriamo) in SBK con diversi Marchi. Ducati, Aprilia, Petronas, Suzuki e Yamaha, Anzi,&nbsp; Troy ha guidato pure la BMW, casa di cui &egrave; oggi testimonial. Fantastico, ma soffermiamoci su due punti, passando un attimo dalla parentesi 500 Grand Prix: l'esperienza 1997 fu breve, giusto qualche gara, poi basta. Il rapporto con i due tempi, la YZR e la squadra dur&ograve; pochissimo, per motivi di adattamento - non ebbe tempo di crescere - ed economici. L'australiano torn&ograve; all'ovile, e fece bene: podi e vittorie qua e l&agrave;, Superpole spesso e volentieri, per&ograve; lo scatto in cui &egrave; raffigurato qui sopra dice che in sella alla GSX-R della squadra Alstare Corona capitanata da Francis Batta costituiva un tutt'uno. Infatti, biss&ograve; la corona gi&agrave; calzata 9 anni prima.       

L'australiano vinse con la 916 nella pista di casa, per un primo alloro personale ad anticipare il mondiale vinto con Suzuki nel 2005

Phillip Island, 27 ottobre 1996: il titolo di Corser con Ducati

        La stagione 1991 del mondiale Superbike rappresent&ograve; una svolta storica per questo campionato, che finalmente venne interamente diffuso in diretta TV nel Mondo, e il pubblico inizi&ograve; immediatamente a capire il grande spettacolo offerto. La stagione 1991 fu anche fortemente caratterizzata dall&rsquo;arrivo di Eraldo Ferracci dagli Stati Uniti. Ternano doc, due volte vincitore del campionato italiano Cadetti, accumul&ograve; grande esperienza soprattutto come meccanico e tecnico da competizione, e nel 1963 si trasfer&igrave; a Philadelphia, dove mise a frutto la sua grande capacit&agrave; con le moto da corsa soprattutto italiane. Duelli da leggenda: Ekerold contro Mang al N&uuml;rburgring &nbsp; Dagli USA alla SBK   Tale genialit&agrave; lo spinse presto a studiare e a produrre parti speciali per parecchie moto sportive e da corsa con il nome Fast By Ferracci. Ma la vera svolta avvenne quando Eraldo, nel 1988, decise di portare in pista negli Stati Uniti le Ducati 851 e con Dale Quarterley vinse la Battle of the Twins. La Ducati decise di affidargli la gestione delle sue moto ufficiali negli Stati Uniti e di creare un team ufficiale Ducati per il campionato AMA. Ferracci contatt&ograve; il texano Doug Polen, che in sella alla Yoshimura Suzuki, stava dominando il campionato Superbike giapponese dopo aver corso e vinto in USA. Nel 1991, con la squadra pronta a dare battaglia nel campionato AMA con il Team Fast By Ferracci, la Ducati propose a Eraldo di correre anche nel Mondiale come team di supporto alla squadra ufficiale del campione del Mondo Raymond Roche e Giancarlo Falappa. Eraldo in poco tempo si organizz&ograve; e con una squadra quasi a conduzione familiare si schier&ograve; al via con il quasi sconosciuto Polen. Il suo arrivo cre&ograve; parecchio interesse perch&eacute; Ferracci si presentava con un sorriso aperto e schietto e una parlata stranissima e difficilmente comprensibile. Eraldo e la sua squadra parlavano un misto di dialetto ternano stretto e per met&agrave; il &ldquo;Broccolino&rdquo;, ovvero lo slang usato dagli italiani a Brooklyn. Questo nuovo arrivato aveva carisma e ispirava subito ammirazione e rispetto per il grande lavoro svolto. I risultati delle sue reali capacit&agrave; emersero immediatamente alla prima gara della stagione 1991, il luned&igrave; 1 aprile nel freddo di Donington. Come un fuoco pirotecnico il texano portato da Ferracci conquist&ograve; con facilit&agrave; la pole position e vinse in modo netto Gara 1, con il giro record davanti a tutti i pi&ugrave; forti piloti del Mondo in sella alle SBK. Questo texano con il numero 23 si era fatto fare una bellissima tuta tricolore con scritti sulle braccia il suo nome a destra e Dianne, il nome della inseparabile moglie, a sinistra. A partire dalla prima gara divenne il personaggio pi&ugrave; ricercato del paddock perch&eacute; dopo Donington continu&ograve; a vincere e siglare record su record. Nella seconda gara sulla micidiale pista madrilena di Jarama, Polen sigl&ograve; una pole record e ottenne la prima doppietta con i record sul giro, diventando subito il leader di un Mondiale dove, di fatto, era un rookie, dato che aveva vinto soltanto da wild card nel 1989 in Giappone. Allibiti gli avversari come Roche, Fabrizio Pirovano o St&eacute;phane Mertens, che non si capacitavano della velocit&agrave; e della superiorit&agrave; di questo nuovo arrivato, e non riuscivano in nessun modo a contrastarlo. &nbsp; Dominio   Un segreto di questa superiorit&agrave; erano le coperture Dunlop, che Polen usava da anni, e soprattutto con l&rsquo;anteriore aveva una fiducia assoluta. Ma anche la sua moto aveva molte parti speciali costruite da Eraldo, che aveva modificato la frizione e altri dettagli della 888. Memorabile fu la gara italiana che si disput&ograve; per la prima volta sul magnifico tracciato del Mugello. In Gara 1 Polen vince dopo un bel duello con Roche. Soltanto in Gara 2 con la pioggia Roche riusc&igrave; a sconfiggere questo bravissimo pilota USA. Polen domin&ograve; la stagione 1991 vincendo addirittura 17 gare su 26 (ma partecip&ograve; soltanto a 24 manche per il boicottaggio dei big a Mosport) conquistando il suo primo titolo con molto anticipo rispetto alla conclusione della stagione dominata dalla Ducati, che ottenne 23 successi di manche su 26. Polen aveva conquistato tutti grazie al carattere mite e gioviale, sempre disponibile e sorridente. Non beveva ed era ben diverso dal connazionale Merkel, assai pi&ugrave; esibizionista e con manie di protagonismo. Il fenomeno Polen seppe ripetersi in modo diverso nel 1992, quando l&rsquo;americano dovette lottare con molto pi&ugrave; impegno e un numero maggiore di avversari. Oltre a Roche anche un immenso Falappa e un grande Pirovano (Yamaha), oltre a Rob Phillis e Aaron Slight (Kawasaki) e Carl Fogarty passato alla Ducati. Nel &lsquo;92 Polen dovette sudare, conquistando le nove vittorie spesso con battaglie a colpi di carena invece di andare in fuga come l&rsquo;anno precedente. Nella storia soprattutto i duelli sull&rsquo;incredibile e pericolosa pista di Spa-Francorchamps, dove Falappa sped&igrave; due volte nelle vie di fuga il compagno Polen alla &ldquo;esse&rdquo; del Bus Stop, prima del traguardo. Nella gara di casa al Mugello i nostri piloti tentarono in tutti i modi di attaccare Polen e soprattutto Falappa si rese protagonista di incredibili sorpassi, e in entrambe le manche vinte da Roche, la Ducati monopolizz&ograve; il podio. Purtroppo il poco pubblico presente convinse l&rsquo;autodromo toscano a declinare l&rsquo;organizzazione della gara italiana, che torn&ograve; a Monza dove in pochi anni divenne invece uno spettacolo per 110.000 spettatori. Quel 1992 fu l&rsquo;anno del secondo e ultimo titolo per Doug Polen, passato successivamente al Team Honda Castrol. Dove non fu pi&ugrave; magico come in sella alla Ducati... Marcellino Lucchi, il super collaudatore della 250       

La struttura creata dalla Ducati negli States, con Ferracci e Polen, approd&ograve; nel Mondiale e fece subito saltare il banco: due titoli in due stagioni, con 26 vittorie di manche contro rivali come Roche, Pirovano...

Ducati Story: Doug Polen, il marziano texano

        Scatto Sprint &egrave; uno spazio speciale dove le immagini servono a riportarci a emozioni e sensazioni vissute in momenti speciali grazie a piloti straordinari, capaci di imprese che rimangono vive nel tempo, e le foto di queste gesta sono in grado di farci rivivere quei momenti rari e bellissimi. Il primo &ldquo;Scatto Sprint&rdquo; lo dedichiamo a uno dei momenti pi&ugrave; belli della storia del mondiale Superbike. Un&rsquo;immagine incredibile che ci proietta al Sole delle spiagge californiane con la musica dei Beach Boys in sottofondo e lo spirito di film come &ldquo;Un mercoled&igrave; da leoni&rdquo; e &ldquo;Easy Rider&rdquo;. Due giovani piloti che rappresentano due continenti differenti dalla vecchia Europa che ci presentano un modo di correre e vivere la moto davvero alternativo. Nella foto cavalcano due splendide Ducati come fossero tavole da surf sulle onde di Malibu. Prove amarcord: la Ducati 1098R F08 di Troy Bayliss Gli anni d'oro della Superbike  Dalla foto traspare la leggerezza, e la gioia nel fare un mestiere decisamente pericoloso e impegnativo. Invece questi due piloti, iscritti come wild card, gi&agrave; il venerd&igrave; mostrano entusiasmo e gioia di correre il round americano sulla leggendaria pista di Laguna Seca contro i senatori della categoria. &Egrave; l&rsquo;11 luglio 1999 e la Superbike &egrave; gi&agrave; esplosa: a ogni gara si superano le 80.000 presenze, rigorosamente di veri motociclisti che giungono sulle piste a cavallo di moto dal cupo rombo del quattro tempi, mezzi simili a quelli che animano le gare in programma, e in TV si registrano ascolti record. Il segreto di questo crescente periodo d&rsquo;oro &egrave; nella spettacolarit&agrave; delle corse, sempre equilibrate e incerte. &nbsp; I Mondiali finiscono spesso all&rsquo;ultima curva dell&rsquo;ultima gara, come l&rsquo;anno precedente, quando Carl Fogarty era riuscito a prevalere su Troy Corser e Aaron Slight nell&rsquo;ultima drammatica gara di Sugo. Sulla magica pista di Laguna questi due piloti iscritti come &ldquo;Ospiti&rdquo; danno una severa lezione a tanti big della Superbike. Come dei funamboli, Ben Bostrom e Anthony Gobert, entrambi sulle Ducati Vance&amp;Hines, danzano spavaldi tra le difficili curve californiane dominando le due gare del round USA. La prima la vince il talentuosissimo Gobert e la seconda il campione USA Bostrom. Lo stupendo Scatto Sprint del venerd&igrave; &egrave; il preludio alla supremazia mostrata poi la domenica. Gobert &egrave; appena rientrato da una squalifica per uso di sostanze proibite, e purtroppo questa sua debolezza ha minato uno dei talenti pi&ugrave; incredibili e cristallini del motociclismo mondiale, come lo defin&igrave; l&rsquo;ingegner Marinelli, al vertice della Ducati SBK. Ben Bostrom invece si fa notare grazie anche alla fidanzata &ndash; una modella di origine nativa americana &ndash; che illumina il paddock con una bellezza esotica e una serie di curve da far impallidire il Cavatappi di Laguna!       

Correva l'anno 1999 e a Laguna Seca i big della categoria vengono sonoramente battuti dalle wild card di Ducati Vance&amp;Hines, Gobert e Bostrom

Scatto Sprint: Bostrom e Gobert, i surfisti della Superbike

Ognuno ha i suoi gusti, ovviamente, e a noi la sfida SBK 2021 piace assai. Toprak Razgatlioglu e Johnny Rea se le sono date di santa ragione da inizio campionato sino San Juan del Villucum e, cosa ancor pi&ugrave; bella, si contenderanno il titolo di categoria nel finale di Mandalika.  Le derivate di serie hanno spesso deciso le sorti nella tappa conclusiva di stagione. Senza andare troppo a ritroso nel tempo, vi citiamo sette annate in cui a contendersi l&#39;alloro vi erano due o tre nomi in lizza. Ci riferiremo, magari lasciandoci andare qualche lacrimuccia nostalgica, a duelli che rimarranno per sempre nei nostri cuori.  E pure nei vostri, gi&agrave; lo sappiamo. Iniziamo con il 1998, quando a Sugo si presentarono in tre papabili di successo: Troy Corser, Carl Fogarty e Aaron Slight. Andiamo avanti passando al 2002 di Imola, dove Colin Edwards e Troy Bayliss scrissero una pagina pi&ugrave; unica che rara. Passiamo a Magny-Cours 2004, sede del braccio di ferro Regis Laconi-James Toseland. Ancora Francia, per James contro Nori Haga, nel 2007. Poi, Portimao e Nitronori a vedesela con Ben Spies. Max Biaggi ebbe la meglio a Nevers nel 2012, facendo abbassare la testa di Tom Sykes. Sylvain Guintoli riusc&igrave; a battere lo stesso Sykes nella notte del Qatar 2014.  Vota il sondaggio: Rea o Razgatlioglu, chi si laureer&agrave; campione a Mandalika?  Sugo trad&igrave; Corser e premi&ograve; Foggy. Imola festeggi&ograve; Edwards     Troy aveva siglato la pole, guidava la classifica 1998 e aveva le carte in regola per uscire da Sugo con il numero 1. Per&ograve;, la festa del gi&agrave; iridato 1996 e successivamente 2005, cess&ograve; ancor prima di cominciare. Un brutto volo lo tolse di scena durante il warm up, dal quale ne usc&igrave; malconcio e con le ossa rotte.  Niente Sugo per Corser, perci&ograve; il piatto fu spartito da Carl Fogarty e Aaron Slight. Pessima l&#39;idea HRC di montare sulla RC45 un propulsore nuovo, pi&ugrave; potente che mai e super ufficiale: il neozelandese fatic&ograve; a domarne il carattere, mentre l&#39;inglese si piazz&ograve; bene, meglio dello sfidante, titolandosi per la terza volta in carriera.  Nel 2002, Colin Edwards fece i conti con un altro Troy. Era Bayliss, giunto al Santerno con un solo punto di svantaggio dall&#39;americano. L&#39;austaliano ne contava 501, il pilota del team Castrol 502. Prima di passare entrambi alla MotoGP, tenevano molto a primeggiare, poich&eacute; gi&agrave; detentori di un mondiale a testa. Lo statunitense releg&ograve; il canguro al secondo posto.  Magny-Cours magnanima per Toseland due volte, con Biaggi una     Il tracciato di Nevers e il numeroso pubblico attesero con fragore l&#39;idolo locale Regis Laconi, schierato dal team Ducati Fila. Pure James Toseland correva per la stessa squadra e, giusto per rendere il tutto pi&ugrave; avvincente, era il lizza per&nbsp; il titolo, proprio come il francese.&nbsp;  Lotta di nervi pi&ugrave; che di manovre, caratteristica farevole all&#39;inglese, che la spunt&ograve;. Per il pianista di Sheffield fu il primo allora, poi ne arriv&ograve; un altro. Sempre l&igrave;, nel 2007, ovvero tre anni pi&ugrave; tardi. Il portacolori Honda pieg&ograve; Noriyuki Haga, allora pilota Yamaha.  Di mondiali, Max Biaggi se ne intendeva gi&agrave; prima di Magny-Cours 2012, quando batt&egrave; per solo mezzo punto Tom Sykes, L&#39;Aprilia e il Corsaro fecer&ograve; bis in SBK, il britannico si riscatt&ograve; l&#39;anno dopo, riportando a Kawasaki quanto fatto nel 1993 da Scott Russell.  Portimao meravigliao per Spies, notte magica quella di Guintoli a Losail     Povero giapponese (agonisticamente parlando) che brutto fu per lui perdere nuovamente. Eppure, a Portimao avrebbe potuto farcela, Nitro Nori. Se non ci fosse stato un caparbio e rookie come Ben Spies, intenzionato a passare in MotoGP dopo aver espletato la pratica SBK.  Cos&igrave; ando: Texas Terror dette a Yamaha il titolo, beffando la Rossa guidata dall&#39;alfiere con gli occhi a mardorla. Il Portogallo risult&ograve; favorevole alla R1condotta dal pluricampione AMA Superbike. Come fu felice il Qatar per Sylvain Guintoli.  Il francese si impose nella notte di Losail illuminata artificialmente a giorno. In luce lui e la RSV4, buio per Tom Syles, sconfitt&ograve; malgrado sulla carena della sua Ninja ci fosse il numero 1. Quell&#39;epilogo resta il pi&ugrave; teso degli ultimi anni, perch&eacute; la conclusione del 2020, all&#39;Estoril, ha visto Johnny Rea battere Scott Redding. Ma nessuno dubitava potesse riuscirci.  MotoGP, la lettera d&#39;amore della Yamaha M1 a Rossi: &quot;Sei parte di me&quot; 

Toprak e Johnny si sono contesi il titolo dal debutto di Arag&ograve;n sino alla tappa finale di Mandalika, regalando duelli e incertezza, ancora pi&ugrave; godibili delle lotte vista tra Fogarty e Slight, Edwards e Bayliss, Haga e Spies, Biaggi e Sykes

Razgatlioglu-Rea, la sfida SBK pi&ugrave; bella degli ultimi anni

Questo mondiale Superbike ha vissuto finora sul bellissimo duello tra il turco Toprak Ragzatlioglu e il Re della categoria, Jonathan Rea. Una battaglia che trover&agrave; la sublimazione nel magnifico finale testa a testa, per una conclusione tra le pi&ugrave; incerte e belle, soprattutto dopo l&rsquo;era in cui la supremazia di Jonathan ha davvero monopolizzato il Mondiale.  Un campionato che, per&ograve;, nella sua storia aveva offerto tantissimi finali conclusi soltanto alla bandiera a scacchi dell&rsquo;ultima gara.  I piloti MotoGP: &ldquo;La sfida Rea-Razga? Una delle lotte pi&ugrave; belle di sempre&rdquo;  2002   Se pensiamo ai grandi finali della SBK, non si pu&ograve; che partire dalla gara del secolo di Imola 2002, con la battaglia tra Troy Bayliss e Colin Edwards, che giunsero all&rsquo;ultima gara separati da un solo punto. Troy vinse 14 gare e Colin 11 ma tra queste ci furono le ultime nove tutte consecutive. I due disputarono due gare pazzesche in solitaria con una cinquantina di sorpassi per ogni manche. Alla fine furono portati ambedue in trionfo per uno spettacolo che fu una vera perfezione agonistica adrenalinica, e il Mondiale and&ograve; meritatamente a Colin.  1998   Un altro finale davvero thrilling fu quello della stagione 1998: nella penultima prova ad Assen ci fu la famosa scazzottata tra Pierfrancesco Chili e Carl Fogarty per il contatto a 280 km/h nel curvone finale. Purtroppo la successiva scivolata di Frankie all&rsquo;ultima &ldquo;esse&rdquo; tolse ogni speranza iridata al bolognese lanciando verso un pazzesco finale a tre: Fogarty contro Aaron Slight e Troy Corser. Il 4 ottobre a Sugo si svolse una delle tappe pi&ugrave; incredibili e rocambolesche della storia della SBK. Nel warm up Corser (leader del Mondiale alla vigilia dell&rsquo;ultimo weekend) cadde pesantemente e rimedi&ograve; un tremendo pneumotorace che lo sped&igrave; in ospedale, lasciando a contendersi la corona mondiale Foggy con la Ducati del Team Tardozzi e Slight con la RC45 Castrol ufficiale.  La Honda decise di affidare al neozelandese la potentissima moto che aveva dominato la 8 Ore di Suzuka ma il malcapitato Slight si accorse subito che la troppa potenza male si adattava ai tornantini e ai curvini del saliscendi di Sugo. La gara fu una tortura per uno Slight innervosito e incapace di andare oltre un settimo e un sesto posto mentre Fogarty in preda a una tranche agonistica ingaggi&ograve; una vera battaglia contro le numerose e velocissime wild card nipponiche. Fin&igrave; terzo in Gara 1 vinta da Keiichi Kitagawa e soltanto quarto nella seconda gara vinta da Noriyuki Haga ma questi piazzamenti gli consentirono di vincere il titolo per soltanto 4,5 punti su Slight.  1988   Come non ricordare il finale della primissima stagione 1988 sul circuito di Manfeild, in Nuova Zelanda, dove Davide Tardozzi arriv&ograve; con la sua Bimota in testa al Mondiale tallonato da Fabrizio Pirovano (Yamaha) e Fred Merkel (Honda). Tardozzi fece la pole ma in gara pag&ograve; il nervosismo e fin&igrave; quinto dietro a Merkel primo e &ldquo;Piro&rdquo; secondo. In Gara 2 l&rsquo;epilogo incredibile con Tardozzi che scivol&ograve; nel giro di riscaldamento e non riusc&igrave; a ripartire, poi anche Pirovano ebbe problemi e a Merkel bast&ograve; un quinto posto per vincere il primo titolo davanti al &ldquo;Piro&rdquo; e a un affranto Tardozzi.  Insomma sono davvero tantissime le stagioni SBK che ci hanno regalato un finale davvero spettacolare e questo 2021 potrebbe davvero tornare alle vecchie tradizioni, con il bellissimo duello tra Toprak Ragzatlioglu e Jonathan Rea che finora ci ha davvero fatto appassionare.  Esclusiva Andrea Dovizioso: &ldquo;Mi mancava l&#39;adrenalina della MotoGP&rdquo; 

&quot;Sono davvero tantissime le stagioni SBK che ci hanno regalato un finale davvero spettacolare e questo 2021 potrebbe davvero tornare alle vecchie tradizioni, con il bellissimo duello tra Toprak Ragzatlioglu e Jonathan Rea che finora ci ha fatto appassionare&quot;

Di Pillo: &quot;Il duello Rea-Razga? Pu&ograve; riportarci alla tradizione della SBK&quot;

Uno splendido circuito, dove si correr&agrave; nei prossimi due weekend, uno tra gli sponsor pi&ugrave; munifici del Motorsport e un costruttore vincente e ambizioso. L&rsquo;Austria ha tutto per essere protagonista nel Motomondiale, salvo i piloti.  Quella (s)volta che: quando la sconfitta fa disertare la premiazione  Gli austriaci vincenti   Con tredici GP vinti occupa infatti il 20&deg; posto in compagnia di Brasile e Ungheria, Nazioni che fino a vent&rsquo;anni fa guardava dall&rsquo;alto in basso. Fra meno di un mese saranno 35 anni dall&rsquo;ultima volta che &egrave; risuonato Land der Berge, Land am Strome (Terra di monti, terra sul fiume), l&rsquo;inno austriaco. Merito di August Auinger che vinse il GP San Marino della classe 125 in sella alla MBA con 16 secondi di vantaggio sul campione del Mondo di quell&rsquo;anno, Luca Cadalora, e quasi 32 su Fausto Gresini. Tre settimane prima l&rsquo;austriaco aveva trionfato a Silverstone con nove secondi di margine su Domenico Brigaglia e 12 su Cadalora. Delle 11 gare disputate dalla ottavo di litro nel 1986 furono le due sole sfuggite ai nostri portacolori che occuparono anche quattro delle prime cinque posizioni della classifica finale. Unico intruso, manco a dirlo, Auinger in quarta piazza. L&rsquo;anno prima August fece anche meglio, con i trionfi in Germania, Gran Bretagna e Svezia e il terzo posto finale dietro a Gresini e Pier Paolo Bianchi. Ritiratosi a fine 1989, non &egrave; riuscito a trasmettere la sua passione al figlio Bernhard, che ha preferito dedicarsi alle quattro ruote, senza raggiungere le vette sportive toccate dal padre.  Cinque GP vinse nel 1954 in 125 pure Rupert Hollaus anche se poi perse la vita nelle prove del GP Nazioni a Monza. Ci&ograve; nonostante si aggiudic&ograve; il titolo iridato, precedendo Carlo Ubbiali che lo etichettava come uno dei rivali pi&ugrave; forti con cui si fosse confrontato. Il febbraio successivo Hollaus fu insignito alla memoria del premio di Sportivo dell&rsquo;Anno nel suo Paese, un&rsquo;onorificenza che in seguito sarebbe stato conquistata soltanto da un altro pilota, Niki Lauda nel 1977. Gi&agrave; soltanto questo basterebbe per indicare la grandezza di Hollaus e la pochezza dei suoi eredi. Un GP a testa lo hanno vinto pure Bert Schneider nel 1963, Edi Stollinger nel 1979 e Gerd Kafka nel 1985, rispettivamente in 125, 250 e 80. Una vittoria la conquist&ograve; anche Andreas Meklau nel 1993 nel round casalingo del mondiale Superbike &ndash; a Zeltweg, oggi Red Bull Ring &ndash; con la Ducati 888 del Team Schnyder. Una gara epica in cui, approfittando della pioggia, Giancarlo Falappa cerc&ograve; di fare subito il vuoto. Alle sue spalle, staccati di due secondi dopo un giro, Aaron Slight, Fred Merkel e St&eacute;phane Mertens.  Archiviato il primo terzo di gara, il Leone di Jesi aveva oltre quattro secondi sul belga che a sua volta precedeva la Kawasaki numero 6 e l&rsquo;altra Ducati. Nel frattempo, con il progressivo asciugarsi delle traiettorie, rinvenne fortissimo Meklau che pure scattava dalla seconda fila grazie al settimo tempo in qualifica. Il beniamino del pubblico infil&ograve; Slight all&rsquo;esterno e Falappa prima della vecchia chicane, guadagnando il comando al nono giro. Nemmeno l&rsquo;errore del connazionale Anton Berghammer, cadutogli davanti poco prima di essere doppiato, con la Yamaha che scivol&ograve; pericolosamente sull&rsquo;asfalto per alcuni metri, gli fece perdere la concentrazione. Meklau continu&ograve; a spingere come un forsennato, arrivando a doppiare persino Mertens e Merkel, in difficolt&agrave; con i pneumatici. Sul traguardo precedette Slight di 29 secondi e Scott Russell, terzo, a 58. Carl Fogarty, con la seconda delle Rosse, fu quarto a un minuto e 10 secondi mentre Jeffry de Vries, settimo, risult&ograve; l&rsquo;ultimo a pieni giri.  Poche ore dopo, in Gara 2, la Ducati infil&ograve; una memorabile cinquina con Falappa vincitore con 27&rdquo; su Merkel e Meklau, terzo in una gara ridotta a soli 12 giri per la pioggia. Andreas riprov&ograve; il colpo gobbo 12 mesi dopo ma si dovette accontentare di due secondi posti, battuto ambedue le volte per un paio di secondi da Fogarty. Da allora gli austriaci hanno raccolto le Briciole: l&rsquo;ultimo a punti in Superbike &egrave; stato Christian Zaiser, nel lontano 2007, mentre in Moto3 quest&rsquo;anno Maximilian Kofler ha incamerato appena tre punti. C&rsquo;era una volta la scuola austriaca. 

Dal fenomeno Hollaus ad Auinger e Meklau. Poi la scuola austriaca si &egrave; fermata

Quella (s)volta che: dove sono i piloti austriaci?

Dopo la notte del trionfo di Wembley, nella quale l&rsquo;Italia ha vinto gli Europei di calcio, la stampa nostrana non ha mancato di evidenziare i fischi inglesi all&rsquo;Inno di Mameli, la bandiera rubata a un nostro connazionale e il gesto dei calciatori di casa che dopo la sconfitta si sono immediatamente levati la medaglia dal collo. Tutto vero, per carit&agrave;. Meno realistici sono stati invece i commenti di alcuni che sui social hanno sottolineato che nel motociclismo queste cose non accadono. Secondo questi che non posso che etichettare come sognatori, le competizioni motociclistiche rappresenterebbero un&rsquo;oasi felice, ad anni luce dall&rsquo;odio e dai desideri di vendetta o almeno di ripicca che contraddistinguerebbero il calcio.  Quella (s)volta che: serbatoi troppo...espansivi  Guy Martin, Aaron Slight e Helmut Bradl   La realt&agrave; dei fatti &egrave; per&ograve; differente come dimostrano i numerosi fischi all&rsquo;inno spagnolo che abbiamo udito negli ultimi anni, il manichino di Marc Marquez impiccato, e le minacce a Marco Simoncelli prima del GP Catalunya, soltanto per citare alcuni degli episodi pi&ugrave; spiacevoli. E poi c&rsquo;&egrave; la questione delle premiazioni per le quali &egrave; prevista la partecipazione obbligatoria dei primi tre della gara, come previsto dall&rsquo;articolo 1.24.5 del regolamento stabilito dalla Federazione Motociclistica Internazionale. Ci&ograve; significa che in caso di mancata presenza il pilota rischia una sanzione pecuniaria e probabilmente una sportiva. In realt&agrave;, a spingere i piloti a salire sul podio anche controvoglia &egrave; l&rsquo;insieme di clausole presenti nei contratti con il team e gli sponsor a cui fa comodo la visibilit&agrave; planetaria assicurata nei tre minuti della premiazione. Non a caso il boicottaggio del podio &egrave; un fenomeno quasi ignoto negli anni Duemila, ma molto frequente in passato, come confermano alcune vicende. Per dire, al Tourist Trophy del 2010, Guy Martin sal&igrave; sul secondo gradino del podio della Supersport, beffato per tre secondi e tre centesimi da Ian Hutchinson dopo un&rsquo;ora e 12 minuti di gara. La sua incazzatura era evidente, ma non discendeva dal risicato distacco quanto dai 30 secondi di penalizzazione che gli erano stati inflitti un paio di giorni prima per l&rsquo;eccesso di velocit&agrave; in corsia box durante la gara delle Superbike. Il superamento di appena 0,122 km/h del limite dei 60 l&rsquo;aveva fatto retrocedere dalla seconda alla quarta posizione. Cos&igrave; mentre i boyscout mettevano al riparo il Mercurio Alato, Martin abbandon&ograve; in fretta e furia il podio, lasciando interdetti Hutchinson e Michael Dunlop che soltanto dopo una manciata di secondi si decisero a stappare lo champagne.  Secondo fu classificato anche Aaron Slight in Gara 1 a Hockenheim nel penultimo round del mondiale Superbike 1999. Il neozelandese (nella foto) aveva in realt&agrave; tagliato il traguardo in prima posizione, grazie al sorpasso all&rsquo;ultimo giro su Carl Fogarty, a cui la piazza d&rsquo;onore bastava per conquistare aritmeticamente il quarto titolo. In quell&rsquo;ultimo giro, la direzione gara espose per&ograve; la bandiera rossa per il botto tra l&rsquo;Aprilia di Peter Goddard e la Kawasaki di Igor Jerman, che seguivano i battistrada a oltre 23&rdquo;.  Malgrado i primi avessero gi&agrave; tagliato il traguardo al momento dello stop, fu considerata valida la classifica di fine penultimo giro: il ducatista si trov&ograve; vincitore per 227 millesimi sul portacolori Honda che, imbufalito, non si present&ograve; sul podio, pagando per l&rsquo;assenza una multa di sette milioni di Lire. Slight aveva gi&agrave; dato buca alla premiazione di Gara 1 a Sentul nel 1997. Anche in quell&rsquo;occasione era arrivato secondo, dietro al compagno di squadra John Kocinski che a suo dire lo aveva spinto fuori dalla pista. E secondo era giunto pure Helmut Bradl a Misano nel GP Italia 1991 della 250 dopo una battaglia epocale con Luca Cadalora, decisasi per soltanto nove millesimi. Uscite dall&rsquo;ultima curva quasi appaiate, le due Honda entrarono in contatto pi&ugrave; di una volta e i piloti tagliarono il traguardo appoggiati l&rsquo;uno all&rsquo;altro. Infuriato per l&rsquo;esito della contesa il tedesco non si present&ograve; sul podio, lasciando soli Cadalora e Pierfrancesco Chili. Che si tratti di calcio o motociclismo non c&rsquo;&egrave; nulla di peggio che arrivare secondi.  Quella (s)volta che: la patria del Motoball 

Prendendo ispirazione da quanto visto negli Europei di calcio, vediamo alcuni casi in cui i secondi classificati hanno disertato il podio di una gara motociclistica

Quella (s)volta che: quando la sconfitta fa disertare la premiazione

Oggi &egrave; un giorno speciale per Akira Yanagawa, bandiera Kawasaki da sempre e arrivato a quota 50 anni, portati benissimo, perch&eacute; ancora in sella spesso e volentieri. Nativo di Kagoshima in data 15 luglio 1971, ora residente a Itoshima-shi, il bravo pilota giapponese &egrave; stato per Akashi icona e portavoce.  Anzi, lo &egrave; tuttora: I suoi corsi di guida sono molto apprezzati in patria e le iscrizioni contano numerosi ragazzi iscritti ad ogni edizione. Ma non solo: per la Casa che ama svolge il ruolo di collaudatore, mettendo a servizio una conoscenza tecnica e filosofica del Marchio senza eguali.  Chi meglio di Yanagawa poteva rappresentare la Ninja nella SBK di fine anni Novanta ed inizio Duemila? Nessuno. Dedizione, lavoro, stile di guida, coraggio e belle parole: Akira era uno &quot;squalo&quot; pronto ad attaccare sempre e comunque e le sue tre gare vinte su 121 partenze sono corredate da 23 podi, due pole position e 6 giri veloci.  Combattente nato e mai fuori posto    Qui sopra vedete Akira nel 2000, duellare con la sua ZX-7RR, moto che ha scritto pagine di storia indelebili, sportive e relative al prodotto di serie. Con il team Eckl, sebbene fosse di stampo teutonico, il nipponico viaggiava forte, tanto da tenersi alle spalle avversari come Colin Edwards su Honda, Troy Corser con l&#39;Aprilia, Troy Bayliss e la Ducati, Aaron Slight e la VTR, Nori Haga e la R7 e la GSX-R di Frankie Chili. Ad esempio.  A motori spenti, tanta simpatia e rispetto per rivali e colleghi. Oltre a dichiarazioni sempre limpide e mai polemiche. Insomma, una pedina perfetta che il contingente di Akashi si &egrave; sempre tenuto stretto, tanto da portarselo in MotoGP, classe in cui ha militato, pi&ugrave; che da titolare, da lussuosa wild card.  Bella la Regina, ma a Yanagawa piaceva il paddock ruspante delle derivate. Pensate che la sua ultima presenza &egrave; datata primavera 2002, quando a Sugo centr&ograve; due sesti posti in mezzo ad una concorrenza decisamente pi&ugrave; giovane. E lui crede nei giovani: il suo impegno &egrave; profuso nel coltivare nuovi piloti in erba, verdi come la moto che pi&ugrave; ama.  MotoGP: lo Sky Racing Team si tinge di azzurro per la Nazionale 

Akira, portacolori iconico della Verdona di Akashi, spegne oggi 50 candeline ed ancora &egrave; spesso e volentieri in sella ad una Ninja

Buon Compleanno Yanagawa, leggendaria bandiera Kawasaki

Davide Tardozzi, attuale team manager della Ducati in MotoGP, nella sua carriera ha avuto la fortuna e l&rsquo;onore di lavorare con due piloti che hanno fatto la storia della Superbike, e allo stesso tempo della Casa di Borgo Panigale nelle derivate di serie. Carl Fogarty prima, Troy Bayliss poi, due personaggi non certamente facili da gestire, con cui ha vinto in totale sette titoli iridati nell&rsquo;arco di 15 anni, e con cui ha collezionato ricordi indimenticabili.  SBK, Ducati 1098 F08: la prova di Alessandro Gramigni  Agli antipodi   Come puoi descrivere Fogarty e Bayliss?  &ldquo;Dal lato umano erano due persone completamente diverse. Fogarty, a dispetto del suo aspetto da &lsquo;cattivo&rsquo;, era timidissimo, oggi &egrave; migliorato un po&rsquo;. Molto spesso non stava in mezzo alla gente, sopportava poco la notoriet&agrave; ma perch&eacute;, semplicemente, era timido. Quando lo dico nessuno mi crede, ma ve lo garantisco! Carl aveva un talento innato, qualsiasi cosa gli mettessi sotto il sedere, lui riusciva ad andare forte. Troy &egrave; una persona molto pi&ugrave; espansiva, ma con lo stesso fiuto e lo stesso talento di Carl nel far andar forte qualsiasi cosa. Troy ha fatto cose, quando &egrave; stato in Ducati, che soltanto lui poteva fare. Ha salvato molte situazioni per la Ducati&rdquo;.    Qual era il loro approccio in pista?  &ldquo;Il filo comune era la determinazione. Ci sono piloti che vanno forte, ma hai bisogno di convincerli che vanno forte. E poi ci sono piloti che lo sanno. Loro sapevano di essere dei campioni. Molti lo dicono, di essere forti, ma quelli che spesso devono ripeterlo lo fanno perch&eacute; non ne sono sicuri. E allora devono &lsquo;convincersi&rsquo;&rdquo;.  Cosa ti piaceva di pi&ugrave; di uno e dell&rsquo;altro?  &ldquo;Di Carl la determinazione, la consapevolezza che comunque in gara sarebbe andato forte anche a dispetto di varie problematiche. Capit&ograve; a Hockenheim, nel 1999: prendeva un secondo al giro da Aaron Slight e Colin Edwards, il sabato sera &egrave; venuto da noi e ci ha detto: &lsquo;Avete fatto tutto? Domani ci penso io&rsquo;. E ha vinto, gara e titolo, con l&rsquo;ultima sua manche conquistata. La cattiveria agonistica di Carl era una cosa che ci tranquillizzava spesso, anche quando le cose non andavano bene. Troy gettava il cuore oltre l&rsquo;ostacolo, questo mi piaceva: dare il 100% per lui non era assolutamente sufficiente&rdquo;.  Riusciamo a paragonarli a qualche pilota del presente?  &ldquo;Faccio fatica ad accostare questi due personaggi a qualcuno, sono gli altri che dovrebbero essere paragonati a loro. Si tratta di due personaggi unici&rdquo;.  Momenti accesi   E immaginiamo che non sia stato facile doverli gestire&hellip;  &ldquo;Quasi da mettersi le mani addosso! Con entrambi ho avuto dei momenti molto accesi, che ricordo con piacere e quando ci sentiamo, spesso, ce li raccontiamo. Con Fogarty credo che il culmine lo raggiungemmo nel 1998 quando, finita una corsa in cui and&ograve; malissimo sul bagnato, and&ograve; via con sua moglie senza salutare nessuno un quarto d&rsquo;ora dopo la gara. Non riuscii pi&ugrave; a rintracciarlo per una settimana. Era sparito totalmente. Mi aveva poi fatto sapere che con quella gara aveva finito di correre. E invece poi nel &lsquo;98 vinse il Mondiale. Ricordo che dopo quella gara ci fu il primo World Ducati Week, e io lo costrinsi a girare il gioved&igrave; a Misano sulla pista bagnata perch&eacute; pioveva&quot;.    &quot;Ci fu un litigio di quelli brutti. In pista lui cadde, torn&ograve; ai box inferocito dicendomi che l&rsquo;avevo fatto cadere. Fortunatamente Michaela, sua moglie, prese le mie difese e continuammo a litigare due contro uno. Lui ha vinto quattro titoli, nel 1994 e 1995, nel 1998 e 1999, e io gli dico sempre che due li ha vinti lui e due li ha vinti sua moglie. Michaela &egrave; una grandissima donna, spesso le donne dei piloti possono fare la differenza, sia nel bene che nel male. Con Troy il momento di difficolt&agrave; vero &egrave; stato ad Assen nel 2002: cadde, e poi perse il Mondiale a Imola. Cadde all&rsquo;ultima curva di Assen semplicemente perch&eacute; mal sopportava Neil Hodgson che era stato suo compagno di squadra nel BSB. I due non si vedevano assolutamente di buon occhio. Avere Hodgson davanti a lui in quella gara gli fece commettere un errore banale, Bayliss cadde e butt&ograve; via punti importanti. Veniva gi&agrave; da un weekend nel quale non era a posto, avevamo avuto una forte litigata durante le prove dietro al box, era un fine settimana storto. Con Troy c&rsquo;&egrave; un rapporto fraterno. Poi capita in tutte le famiglie di avere un momento difficile. Con entrambi ho avuto e ho tutt&rsquo;ora un rapporto speciale&rdquo;.  SBK: Troy Bayliss, l&#39;uomo con la valigia  Ricordi   Qual &egrave; il ricordo pi&ugrave; bello?  &ldquo;Con Carl sicuramente nel 1998 in Giappone, con la vittoria del campionato nonostante tutte le traversie e il fatto che volesse smettere. Con Troy, al di l&agrave; dei Mondiali in Superbike, non c&rsquo;&egrave; dubbio che la gara della MotoGP a Valencia, nel 2006, fu una rivincita per tutti&rdquo;.  Come and&ograve; quel weekend?  &ldquo;Lui aveva appena vinto il mondiale Superbike, Sete Gibernau non poteva correre e chiesero a Troy di sostituirlo, sebbene non conoscesse le gomme Bridgestone e non guidasse una MotoGP da un anno. Troy pretese che al suo seguito ci fossimo io, Paolo Ciabatti e quello che allora era il suo ingegnere di pista in Superbike, Ernesto Marinelli. Si cominci&ograve; con calma il venerd&igrave;, poi in qualifica firm&ograve; il miglior tempo e a tre minuti dalla fine lo sorpass&ograve; soltanto Valentino Rossi. Chiaramente a quel punto cominciarono a crescere le aspettative. C&rsquo;&egrave; chi, grande tifoso di Troy, in una botta di follia scommise sulla sua vittoria per fare una goliardata. Guadagn&ograve; poi una valanga di soldi...&rdquo;.  Due campioni cos&igrave;, quali difetti avevano?  &ldquo;Quello di Carl era il suo essere scontroso e poco aperto verso il pubblico. Questo era un limite per quello che lui era in quel momento. Negli anni &lsquo;90 Carl, soprattutto in Inghilterra, era un Dio in terra. Non per niente l&rsquo;hanno fatto Baronetto al cospetto della Regina, era una potenza mediatica, ma non si &egrave; mai voluto far carico di quella che era la sua posizione pubblica. Il difetto di Troy era forse il contrario: a volte avrebbe dovuto essere un po&rsquo; meno umile. Ma se non ci fosse stato, Troy lo avremmo dovuto inventare&rdquo;.  Vezzi e curiosit&agrave; di due campioni   &nbsp;  Perch&eacute;?  &ldquo;Troy &egrave; un personaggio molto molto genuino, da campionato italiano di vent&rsquo;anni fa. Mi ricordo ancora una cosa che mi disse nel primo anno in cui frequentava il paddock della MotoGP. Quando entr&ograve;, and&ograve; a salutare delle persone &lsquo;comuni&rsquo; che lavoravano nel paddock, e vide che queste persone si sorprendevano. Cos&igrave; mi domand&ograve;: &lsquo;Perch&eacute; si sorprendono se li vado a salutare?&rsquo;. Questa &egrave; la sua umilt&agrave;, come una persona che pensa: &lsquo;Io sono una persona come te, soltanto che io faccio il pilota e tu un altro mestiere, ma dov&rsquo;&egrave; il problema?&rsquo;. Lui &egrave; cos&igrave;, una persona modesta e umile. Lo &egrave; sempre stato e sempre lo sar&agrave;&rdquo;.  Dopo tutti questi anni esiste un rimpianto legato a loro?  &ldquo;Con Fogarty il rimpianto &egrave; quel maledetto, stupido incidente del 2000 che per&ograve; ha aperto la strada a Bayliss, se vogliamo. Carl non meritava di finire la carriera cos&igrave;, anche perch&eacute; credo che avrebbe vinto quel titolo senza problemi, e avrebbe avuto ancora anni da protagonista. Per Troy il rimpianto vero fu la mancanza di una situazione congeniale con la Ducati MotoGP. Secondo me avrebbe potuto fare decisamente di pi&ugrave;. Troy fece dei podi al primo anno, ma non raccolse in MotoGP in proporzione alle sue capacit&agrave; e al suo talento&rdquo;.    Li conosci meglio di tutti: qual &egrave; una curiosit&agrave; &ldquo;dietro le quinte&rdquo;?  &ldquo;Carl ha sempre insistito su un punto: diceva di avere un anno in meno. Ha sempre detto che era del 1966 e invece &egrave; del &lsquo;65. Nella sua testa ha sempre avuto un anno in meno, ma non so il motivo! Troy &egrave; un pazzo scatenato. Alle 5 del mattino, a Montecarlo, quando il mare era piatto, guidava la sua Cigarette nel porto nuovo perch&eacute; voleva fare il record di velocit&agrave;. E Loris Capirossi, che abitava proprio l&igrave; sul mare, si arrabbiava perch&eacute; ogni volta veniva svegliato da quei rumori, e soltanto con il tempo ha capito di chi si trattava... Poi sia Capirossi che soprattutto Casey Stoner, trattano Troy come il loro fratello minore, sebbene Troy abbia pi&ugrave; di 50 anni. Casey &egrave; una persona ponderata, che pensa, che si preoccupa, Troy &egrave; uno che pensa: &lsquo;Come viene, viene...&rsquo;&rdquo;.  All&rsquo;interno dei box, nei fine settimana, avevano un vezzo?  &ldquo;Carl direi di no, non me ne ricordo. Troy amava molto fare gruppo, avere tutti i suoi uomini intorno prima della gara, salutarli e toccarli. Troy coinvolgeva molto la sua gente. Non potevi non volergli bene! Poi dimostrava la considerazione in modo tangibile. Ai suoi meccanici ha sempre fatto regali, come vacanze, li ha sempre trattati alla pari, come persone che lo aiutavano a compiere certe imprese. Carl era invece pi&ugrave; distaccato, era molto per la famiglia. Era veramente legato alle sue figlie e a sua moglie. Lui e le sue donne&rdquo;.  Ducati 996: la prova di Loris Reggiani 

&quot;A Foggy dico sempre che deve due titoli a sua moglie: quanto &egrave; legato a lei e alle figlie! Troy era persino troppo umile, con la sua vena di follia andava a tutta sul mare di Montecarlo all&rsquo;alba, svegliando Capirossi! In comune avevano talento e determinazione&quot;

SBK: Bayliss e Fogarty visti da Davide Tardozzi

Se non fosse per Jonathan Rea, Carl Fogarty sarebbe in testa alle due graduatorie pi&ugrave; importanti del mondiale Superbike: titoli iridati e gare vinte. Con quattro Mondiali in bacheca e 59 gare conquistate, infatti, Fogarty &egrave; risultato superiore a tutti gli altri piloti che hanno corso in Superbike fino a met&agrave; 2018. Quell&rsquo;anno, vincendo Gara 1 a Brno, Rea gli ha strappato il record di successi e nel 2019, con la conquista del 5&deg; titolo iridato, il nordirlandese l&rsquo;ha scavalcato pure nell&rsquo;altra graduatoria. Fogarty &egrave; comunque il pilota pi&ugrave; vincente in Superbike con la Ducati: 55 le vittorie ottenute, mentre le altre quattro le ha raccolte con la Honda nel 1996. In questa graduatoria precede Troy Bayliss, vincitore 52 volte con le Rosse di Borgo Panigale in SBK. Al terzo posto, staccatissimi, ci sono Chaz Davies e Doug Polen con 26 successi ciascuno in sella alla Ducati.  Carl Fogarty, il Campione allergico alla sconfitta  Statistiche   Carl ha conquistato almeno un successo all&rsquo;anno per otto stagioni di fila, dal 1992 al 1999. In quattro di questi campionati &egrave; arrivato in doppia cifra, impresa bissata in seguito soltanto da Rea. Il suo massimo stagionale sono le tredici vittorie del 1995, seguite dalle 11 del 1993 (quando per&ograve; fin&igrave; secondo nel Mondiale dietro a Scott Russell, complici quattro ritiri e una mancata partenza a Brands Hatch) e del 1999, e infine dalle 10 manche vinte nel 1994. Invece nel 1998 gli bastarono tre vittorie per conquistare il titolo: in quel campionato Aaron Slight, Pierfrancesco Chili e Noriyuki Haga vinsero cinque volte a testa ma gli finirono dietro. Anche Fred Merkel nel 1989 e James Toseland nel 2004 conquistarono il Mondiale con soltanto tre vittorie stagionali ma in questi casi si corsero 22 manche, contro le 24 del 1998. Lo stesso Merkel nel 1988 divenne campione con la miseria di due vittorie ma le manche dell&rsquo;anno inaugurale furono 18.  Sono state invece 16 le doppiette ottenute da Fogarty in Superbike: quattro nel 1993, tre nel 1994, quattro nel 1995, una nel 1996 con la Honda, e quattro nel 1999. Cinque di queste sono arrivate in Olanda, ad Assen, dove dal 1993 al 1996 Fogarty &egrave; rimasto imbattuto con un filotto di otto vittorie consecutive. Soltanto due invece le doppiette in patria, entrambe nel 1995: la prima a Donington e la seconda a Brands Hatch. Nella classifica dei podi, invece, Fogarty &egrave; appena quinto con 109 piazzamenti nelle prime tre posizioni in gara (anche se sul suo sito ufficiale ne indica 108): lo precedono Rea, Troy Corser, Haga e Tom Sykes. Carl ha infatti totalizzato 33 secondi posti (l&rsquo;ultimo in Australia nel 2000, l&rsquo;ultima volta al traguardo) e 17 terzi (compreso uno nello stesso anno in Sud Africa). In sei annate ha raccolto almeno 14 podi: il top sono i 19 del 1995 e 1999 (rispettivamente su 24 e 26 gare), seguiti dai 15 del 1997 e 1993 (su 24 e 25 gare) e dai 14 del 1994 e 1998 (su 20 e 24 gare).  Fogarty &egrave; quinto persino nella classifica delle Superpole con 21, tutte con la Ducati: la prima risale a Donington nel 1992 (quando ottenne la prima vittoria di manche), sei nel 1993 e 1994, quattro nel 1995 e 1999. Davanti al pubblico amico ha conquistato quattro pole di fila a Donington, dal 1992 al 1995, e altre due a Brands Hatch, nel 1995 e l&rsquo;ultima in assoluto nel 1999. Due invece le pole in Italia, entrambe a Misano, nel 1995 e 1999. Con 48 giri pi&ugrave; veloci &egrave; invece terzo nella relativa classifica alle spalle soltanto di Rea e Haga: dal 1992 al 2000 ne ha ottenuti almeno un paio all&rsquo;anno, spingendosi fino ai 10 del 1993 e 1994. La sua stagione con pi&ugrave; punti &egrave; stata il 1999: 489 in 26 gare, ossia quasi 19 (18,8 per la precisione) per ogni gara corsa. In 24 di quelle 26 gare fin&igrave; nelle prime cinque posizioni all&rsquo;arrivo, mentre in Gara 1 in Germania fu 15&deg; conquistando comunque un punto. Quell&rsquo;anno non fece punti soltanto in Gara 1 a Brands Hatch.  SBK, Carl Fogarty: &ldquo;Ducati mi faceva sentire il numero uno&rdquo; 

Accanto ai numeri spaventosi legati a manche (59) e titoli (4) vinti, spiccano i 48 giri pi&ugrave; veloci, a fronte di poche (21) Superpole

SBK: Carl Fogarty, i numeri di una carriera incredibile

In contemporanea con l&rsquo;avvio della Superbike, a Oschersleben prende il via l&rsquo;IDM, acronimo di Internationalen Deutschen Motorradmeisterschaft. Dal 2017, quando si corse all&rsquo;EuroSpeedway di Lausitz, il Mondiale delle derivate di serie non fa pi&ugrave; tappa in Germania.  Un&rsquo;assurdit&agrave; considerando che nel 2020 i tedeschi hanno comprato 220mila moto nuove, primato continentale. Un addio giustificato dal passaggio dell&rsquo;impianto alla Dekra che non sembrava interessata a ospitare competizioni. Invece nelle ultime tre annate il Lausitz &egrave; stato teatro di una tappa dell&rsquo;IDM.  Carl Fogarty: &ldquo;La Petronas fu un&#39;esperienza frustrante&rdquo;  I trascorsi del Mondiale Superbike in Germania   Dal 1988 al 1997 invece il Mondiale corse a Hockenheim, poi soppiantato dal N&uuml;rburgring ma soltanto per due edizioni, a causa dei pasticci verificatisi nel 1999. Due settimane prima a Monza, Carl Fogarty aveva colto una doppietta, portando a 55 punti il suo vantaggio su Colin Edwards e a 60 sul compagno di marca Troy Corser. Per l&rsquo;inglese della Ducati, la prima manche al N&uuml;rburgring rappresentava la numero 200 nel Mondiale ma l&rsquo;anno prima su quella stessa pista si era dovuto accontentare di due tredicesimi posti, a distanza dal vincitore: 1&rsquo;40&rdquo; il ritardo da Aaron Slight in Gara 1 e addirittura 1&rsquo;49&rdquo; da Frankie Chili in Gara 2. Ma pi&ugrave; che quei precedenti, a turbarlo alla vigilia fu la morte di una bimba di due anni e otto mesi, figlia di Graham e Louise, amici di famiglia, nella piscina della sua abitazione. Pur con la morte nel cuore il britannico trov&ograve; il feeling, facendo segnare il quarto tempo nelle prove del venerd&igrave; a 178 millesimi da Corser, autore del miglior tempo davanti alle Honda di Edwards e Slight. Il giorno dopo Foggy conquist&ograve; la pole con un giro di 208 millesimi pi&ugrave; rapido del primato di Mick Doohan con la Honda 500 nel 1997! Edwards si dovette accontentare del secondo posto e Slight del terzo, lontani rispettivamente 448 e 690 millesimi. Quarto Chili (Suzuki), quinto Corser, caduto al sabato cos&igrave; come Edwards.  Una vittoria con dedica   Al via per&ograve; lo statunitense fu il pi&ugrave; rapido e pass&ograve; a condurre, seguito come un&rsquo;ombra da Chili. Al quarto giro per&ograve; la Kawasaki di Igor Jerman, in quell&rsquo;istante 14&deg;, inond&ograve; di olio la curva Castrol &ndash; nomen omen &ndash; prima di accostare nel prato. Dopo una manciata di secondi la 916 di Carlos Macias rimbalz&ograve; nella ghiaia, facendo intendere che l&rsquo;asfalto fosse viscido. Non per i Marshall. Il giro dopo Edwards rischi&ograve; di fare la stessa fine ma riusc&igrave; a controllare l&rsquo;imbarcata. Non ebbe la stessa fortuna Akira Yanagawa, ritrovatosi in terra senza capirci nulla. And&ograve; meglio a Katsuaki Fujiwara che lo seguiva a pochi metri. Complice il dritto di Edwards, al 5&deg; giro Fogarty pass&ograve; a condurre con 1&rdquo;5 su Slight e Chili e 2&rdquo;5 su Colin. Quinto era Noriyuki Haga, ma quando cerc&ograve; di sterzare a destra la sua R7 si intravers&ograve; e fin&igrave; nella via di fuga, dove il giapponese perse l&rsquo;equilibrio. Al decimo giro a sdraiarsi nel medesimo punto fu Chili, mentre due curve pi&ugrave; avanti Fogarty si tocc&ograve; in fase di doppiaggio con Lothar Kraus, che rovin&ograve; a terra e poi inizi&ograve; a gesticolare come avrebbe fatto un italiano: a cenni evidenziava l&rsquo;assenza di bandiere blu che l&rsquo;avrebbero dovuto allertare dell&rsquo;arrivo dei primi.  Altri tre giri e pure Edwards and&ograve; gi&ugrave; come un sacco di patate alla curva Castrol (il suo main sponsor...). Rialzatosi il texano inizi&ograve; a tirare sassi sulla porzione d&rsquo;asfalto che l&rsquo;aveva tradito, poi a beneficio di telecamere esib&igrave; un doppio dito medio. Nessuno si era premurato di esporre le bandiere gialle con righe rosse, per indicare la presenza di sostanze estranee in pista. Colin defin&igrave; l&rsquo;organizzazione &quot;Dilettantesca e stupida&quot;. Nonostante l&rsquo;irruzione di un furioso Davide Tardozzi in direzione gara, deciso a tutelare l&rsquo;incolumit&agrave; dei piloti, i 21 giri furono completati.  Fogarty vinse con 7&rdquo;262 su Slight e mezzo minuto su Corser. Tagliato il traguardo and&ograve; a cercare l&rsquo;abbraccio della moglie Michaela, poi spieg&ograve;: &ldquo;Questa &egrave; la stata la gara pi&ugrave; importante della mia vita. Dovevo vincere, non importa come, per qualcuno che non &egrave; pi&ugrave; tra noi. Volevo vincere per la piccola Hannah, me l&rsquo;ha chiesto suo padre, l&rsquo;ho fatto per Graham&rdquo;.  Quella (s)volta che: Rossi e gli altri campioni a corto di punti 

Pur con la morte nel cuore e l&rsquo;olio in pista, l&rsquo;inglese vinse nel caos della gara tedesca. Correva l&#39;anno 1999

Quella (s)volta che: Il coraggio di Carl Fogarty al Nurburgring

La famiglia Bayliss conduceva una vita tranquilla, magari non agiata, per&ograve; avvolta da un clima di grande e invidiabile serenit&agrave;. I soldi erano pochi, il necessario per pagarsi un&rsquo;abitazione e riempire il frigorifero. Kim se la cavava bene nelle vesti di addetta alle vendite in un negozio di gioielli, Troy era un carrozziere e ristrutturava automobili, anche se preferiva le motociclette. Al braccio, al collo e sulle mani di lei pochi monili, fede matrimoniale a parte. Era elegante Kim, nel suo tailleur tutto stretto, sobrio e mai provocante. Lui, invece, era intutato come una giubba blu, si muoveva con una bicicletta e a ogni pedalata si potevano notare i calzini bianchi fare a botte con il mocassino nero, in un perfetto &ldquo;matrimonio pugliese style&rdquo;. L&rsquo;impegnativo mezzo di locomozione era utile per ci&ograve; che gli serviva: recarsi a lavoro e mantenersi in perfetta forma.  Come se saltare su e gi&ugrave; e attorno a una vecchia Holden da ristrutturare non bastasse a renderlo magro, agile, tonico. I luoghi preferiti dagli sposini erano le assolate e sabbiose spiagge di Taree, non &ldquo;commerciali&rdquo; e di grido quanto quelle della super nominata Gold Coast, ma comunque belle e piacevoli, ideali per rilassarsi. L&rsquo;apparente calma, per&ograve;, giorno dopo giorno era messa a repentaglio da un forte richiamo, pi&ugrave; che altro, da una vera passione.  Paolo Ciabatti: &ldquo;Troy Bayliss &egrave; stato il ducatista per eccellenza&rdquo;  Il richiamo della velocit&agrave;   Troy non ce la faceva pi&ugrave;. Dannazione. Vedersi sfrecciare davanti ai suoi occhi blu quella Kawasaki verde, rappresentava una provocazione, un richiamo alle armi. L&rsquo;istinto corsaiolo del non pi&ugrave; giovanissimo stava prendendo il sopravvento. Del resto, si trattava di una reazione normale: immaginate di imbrigliare Mike Tyson in una silenziosa e comoda camera di hotel e vedrete cosa produrrete. Una macchina da guerra che, una volta liberata dalla prigionia, &egrave; pronta a sparare raffiche di colpi. Il primo colpo messo a segno da Bayliss fu l&rsquo;acquisto di una Kawasaki ZXR 750. Impossibile per un passionale come lui resistere alla tentazione di possederla e il negozio in cui perfezion&ograve; l&rsquo;affare la sfoggiava in vetrina, davanti ad altri invitanti modelli. Il passo successivo, e inevitabile, avvenne con l&rsquo;iscrizione al campionato nazionale, del resto le spese da affrontare per la preparazione della moto erano, nonostante tutto, contenute. La voce pi&ugrave; pesante del budget era costituita dai viaggi. L&rsquo;Australia &egrave; un continente, spostarsi da Eastern Creek a Oran Park richiedeva soldi per il gasolio, ore di tempo e di navigazione. E fatica. Ma i buoni risultati lo incitavano a continuare, rinunciando qualche volta alle ormai classiche gite al mare.  Un bel giorno, arriv&ograve; a casa una telefonata dal responsabile del Team Suzuki Ansett Air Freight: &ldquo;Troy, che fai? Prepara tuta, casco, stivali e guanti. Si va a Phillip Island. Il Mondiale ci aspetta&rdquo;. Bayliss rivel&ograve; in seguito il suo pensiero, tutt&rsquo;ora censurabile ma comprensibile. &ldquo;C...., arrivo subito! Kim, prepara la valigia, devo andare a guidare una GSX-R nel mondiale Superbike&rdquo;. John Kocinski ancora lo ricorda. Povero Little John: non gli bast&ograve; vincere sull&rsquo;acqua la prima manche da neopilota Honda. Dopo la replica del compagno di squadra Aaron Slight, ecco l&rsquo;onta di subire un sorpasso all&rsquo;esterno, in un velocissimo e scivolosissimo curvone in contropendenza: &ldquo;Mah, non ci stavo capendo niente. Credo sia stata una wild card australiana a superarmi cos&igrave;. Mi sa che era quel Bayliss. Io avevo tutto da perdere, lui meno&rdquo;. Avr&agrave; avuto anche poco da perdere, Troy, pochi giorni prima del 28&deg; compleanno, ma due quinti posti in mezzo a gente come il gi&agrave; citato (e poi campione) Kocinski, Simon Crafar, Akira Yanagawa, Colin Edwards, Scott Russell, Pierfrancesco Chili, James Whitham e ovviamente il Re, Carl Fogarty, gli valsero una seconda telefonata.  La chiamata per il Mondiale   Era l&rsquo;autunno 1997, qualche mese dopo la memorabile impresa: &ldquo;Ehi Troy, a casa tutto bene? Perfetto. Dai, metti nella borsa stivali, tuta, guanti e casco. Si riparte per il Mondiale&rdquo;. Bayliss non rimase stupito dalla chiamata alle armi. Pi&ugrave; che altro, si chiese perch&eacute; il team manager Molenaar avesse elencato il vestiario da portare in un ordine dissimile da quello propostogli mesi addietro. Ognuno ha i suoi gusti. Michael Doohan &ndash; e non soltanto lui &ndash; rimase a bocca aperta. La RGV 250, messa insieme con filo e rattoppi, con il dannato Aussie volava. D&rsquo;accordo, Ralf Waldmann e Max Biaggi con le Honda &ndash; a giocarsi il titolo in quell&rsquo;ultima gara a Phillip Island &ndash; erano di un altro passo, ma Olivier Jacque, Takeshi Tsujimura e Tetsuya Harada dovettero difendersi dagli attacchi scatenati del numero 30, che perse la volata per il podio anche per una palese inferiorit&agrave; tecnica manifestata soprattutto in rettilineo. Perch&eacute; in curva, non ce n&rsquo;era per nessuno, chiedete a Stefano Perugini, rimasto battuto con la sua Aprilia ufficiale in quella battaglia a cinque. Troy, per&ograve;, torn&ograve; a casa non soddisfatto. Lui desiderava salire sul podio, di fronte alla sua gente. Lui voleva battere gli avversari dotati di un mezzo superiore. Lui anelava un posto fisso nel Mondiale. Lui era in cerca di ingaggi.  Nell&rsquo;inverno del 1998 un ingaggio gli fu proposto. Se nelle situazioni precedenti un piccolo trolley era sufficiente per raggiungere Phillip Island, dopo la telefonata via Regno Unito-Australia, i coniugi Bayliss capirono che, prima di salutare le spiagge di Taree, sarebbe stato meglio procurarsi giacche a vento, maglioni e ombrelli. Il British Superbike accoglieva Troy. Una volta sbarcato con la moglie e i due figli Mitch e Abbie, l&rsquo;abbronzato australiano cap&igrave; subito che, da quelle parti, sarebbe stato meglio dimenticare la tintarella e pensare ad altro. Pioggia e vento potevano anche (ogni tanto) andare bene. Il freddo no, davvero. Nei momenti da passare in casa, prima che partisse la stagione da affrontare con il Team GSE, ogni cintura dei membri della famiglia andava stretta, per benino. Tradotto in soldoni... Di soldi se ne vedevano pochi e il cielo era sempre pi&ugrave; grigio. Ma una volta in pista, qualcosa cambi&ograve;. Il ruggito del possente bicilindrico desmodromico riaccese lo sguardo di Troy, che si innamor&ograve; di primo udito e a prima vista della Ducati, moto passionale, estrema. Pura. Come lui. &ldquo;C&hellip;., queste piste sono da fuori di testa&rdquo;. Mica fu il solo a dirlo. Ma l&igrave; avrebbe dovuto correre, per almeno due stagioni. Nel frattempo, il gran salto di Cadwell salut&ograve; la prima vittoria d&rsquo;Oltremanica, davanti a un pubblico che asser&igrave;: &ldquo;Questo fottuto australiano va forte&rdquo;. E come se andava forte.  La seconda chance propostagli, datata 1999, si rivel&ograve; trionfale. Bayliss e la 916 RS erano un tutt&rsquo;uno. Uno, anzi. Come il numero finale conquistato, mai sfoggiato, per&ograve;, perlomeno da quelle parti, perch&eacute; a bordo di altri aerei doveva proseguire quel work trip, il viaggio di lavoro intrapreso due anni prima. E vai di valigia. Ernesto Marinelli e lo staff del Team Ducati Vance &amp; Hines non potevano crederci. L&rsquo;australiano vedeva per la prima volta la micidiale pista di Daytona, e girava gi&agrave; a pochi decimi dagli specialisti americani. Soprattutto sul banking, il muro sopraelevato, Troy mostrava di che pasta era fatto: manetta aperta nella Curva 4, da affrontare a pi&ugrave; di 250 chilometri orari, forse 270: &quot;Si schianter&agrave;, questo &egrave; sicuro&quot; le parole udite da pi&ugrave; di un presente. Sbagliate. Bayliss si fece notare come rivelazione dei test AMA, su una Ducati 996 cucitagli addosso. Il connazionale Mat Mladin, poi plurivincitore negli States, iniziava gi&agrave; a preoccuparsi: &quot;Qui il canguro sono io, non voglio che nessuno distrugga il giardinetto verde che sto costruendo&quot;. Troy ci and&ograve; vicino a farlo. In testa per tutta la 200 Miglia, vide sfumare il successo al debutto per una banale scivolata, avvenuta all&rsquo;ingresso dell&rsquo;Infield, dove era presente una impercettibile ma traditrice buca sull&rsquo;asfalto. Che disdetta. Le cose non andavano bene ma negli USA, specialmente in Florida e California, splendeva il Sole. Che bello, ricordava tanto casa. L&rsquo;Australia. Quasi quasi conviene pure fermarsi qui, e poi &egrave; importante riceverle puntualmente uno stipendio. Ah, ma quanto &egrave; bella questa Ducati, finalmente tutta rossa. S&igrave;, questo &egrave; il colore giusto. Altrimenti, sarebbe stata forte la tentazione di riverniciarla. Lui, lo sapeva fare, del resto.  &ldquo;Convocate quello l&igrave;, come si chiama? Ma s&igrave;, l&rsquo;australiano che ha vinto nel BSB e che andava forte a Daytona. Bayles. No, Bayliss. S&igrave;, proprio lui. Fogarty ne avr&agrave; per un bel po&rsquo;, dobbiamo portare a Sugo due piloti ufficiali&rdquo;. La leggenda narra che la convocazione nacque pi&ugrave; o meno cos&igrave;. Il Team Ducati Infostrada era in allarme. Il numero 1 della SBK era fermo. Carl si era fatto male. The King non si rialz&ograve; con le sue gambe dal terribile tamponamento avvenuto a Phillip Island. Gi&agrave; nella prima manche bagnata, a Foggy non and&ograve; gi&ugrave; lasciare la vittoria ad Anthony Gobert con la Bimota, ecco perch&eacute; l&rsquo;inglese bramava riscatto in Gara 2, ma l&rsquo;impatto con Robert Ulm sanc&igrave; la fine del suo regno. Ben Bostrom era preoccupato. Il sorridente californiano temeva tantissimo la prima curva di Sugo e sapeva che le wild card giapponesi erano paragonabili a incoscienti kamikaze. Due partenze, due &ldquo;crash&rdquo;, in fagiolate di gruppo.  Il capolavoro di Monza 2000   Tra i tanti a terra, Bostrom in Gara 1, ma a Bayliss and&ograve; peggio: due manche, zero giri completati. Un rivale gli pass&ograve; tra capo e collo, lasciandogli segni evidenti di gomma Dunlop sulla pelle. Come esordio da pilota factory nel mondiale fu &ldquo;Una m...&rdquo;, come non dargli ragione? La Ducati lo risped&igrave; negli USA. Urgeva correre ai ripari, ed ecco Luca Cadalora a Donington. Davanti al pubblico di Fogarty, la stella dei GP, due volte iridato nella 250 e otto volte vincitore in 500, fall&igrave;. Non lo affermiamo noi, lo raccontano le classifiche. Un ritiro e un diciassettesimo posto non sono accettabili da uno che su quella pista conquist&ograve; il primo successo in 500. A casa pure lui. &ldquo;Dai, riproviamo con Bayliss. Dopotutto, in Giappone &egrave; stato sfortunato. Schieriamolo a Monza, magari l&igrave; si trova bene. Ci sono curvoni e staccate, ci&ograve; potrebbe favorire il suo stile di guida&rdquo;. E che stile, ragazzi. Scintille ovunque, corpo storto avvitato in sella e movimenti degni di Yuri Chechi. Troy andava forte, se ne accorsero tutti. Nella gara pomeridiana, il capolavoro che segn&ograve; la sua storia e quella della SBK. Noriyuki Haga, Yanagawa, Chili ed Edwards, infilzati da un solo fendente dalla Rossa numero 21, al comando con una micidiale staccata alla fine del rettilineo d&rsquo;arrivo. &Egrave; giusto riportare i commenti del pubblico in tribuna: &ldquo;Ma come caspita ha fatto, chi &egrave; quello l&igrave;, da dove arriva?&rdquo;. Presto lo avrebbero saputo.  Continua  Carl Fogarty, il Campione allergico alla sconfitta 

Dall&rsquo;Australia alla conquista del mondo, grazie al talento e al coraggio: l&rsquo;incredibile epopea di Bayliss, che debutt&ograve; in ambito iridato a quasi 28 anni, incarnando l&rsquo;immagine del pilota pi&ugrave; amato dai ducatisti duri e puri

SBK: Troy Bayliss, l&#39;uomo con la valigia

Pierfrancesco Chili     &ldquo;La gente ricorda il nostro feroce duello di Assen, concluso con un litigio, ma poi io e Carl abbiamo fatto pace. Tutt&rsquo;ora ci sentiamo e ricordiamo le grandi sfide condivise in pista. Quel paddock era diverso dall&rsquo;attuale, ognuno di noi era pi&ugrave; puro e spontaneo, Fogarty non faceva eccezione. Con il tempo ho imparato ad apprezzarlo e la cosa &egrave; stata reciproca, infatti quando mi reco in Inghilterra lui mi ospita a casa sua&rdquo;.  Carl Fogarty: &ldquo;La Petronas fu un&#39;esperienza frustrante&rdquo;  Jonathan Rea     &ldquo;Carl &egrave; stato un eroe nel Regno Unito, in un periodo in cui la Superbike era su tutte le TV nazionali. Era amato da tanti, ma odiato da parecchi, perch&eacute; aveva grande carattere. Io provo un grande senso di rispetto per lui: mio padre ha corso contro Foggy al Tourist Trophy sull&rsquo;Isola di Man. Li ho visti parlare e mi sono sentito elettrizzato. Tutt&rsquo;ora mi sento con Carl, &egrave; una persona divertente. Grazie a lui la SBK ha acquisito popolarit&agrave;, specialmente nel nord Europa&rdquo;.  Chaz Davies     &ldquo;Sono cresciuto ammirando Carl in TV, le sue imprese erano incredibili. Nel Regno Unito Foggy era un idolo, ritenuto forte e &lsquo;cattivo&rsquo; nella guida. Ripensando alle sue numerose vittorie, mi sembra evidente come la caratteristica principale del campione fosse la determinazione. Nessuno era caparbio quanto lui, un esempio da seguire e imitare&rdquo;.  Simon Crafar     &ldquo;Con Carl ci si divertiva, perch&eacute; sapevi che in pista lui non recitava n&eacute; faceva calcoli. Ne ho affrontati tanti di rivali, lui era quello in grado di ottenere risultati apparentemente inarrivabili. Fogarty era dannatamente veloce, soprattutto cocciuto. Per lui contava soltanto il primo posto e, per conquistarlo, ci metteva del suo. La Ducati era super competitiva ma, se guardiamo le classifiche, la sua era quella che finiva pi&ugrave; spesso in alto negli ordini d&rsquo;arrivo&rdquo;.  Virginio Ferrari     &ldquo;Carl era tutto: il pi&ugrave; pauroso e il pi&ugrave; coraggioso, il pi&ugrave; divo e antidivo, allo stesso tempo. In sella era una bestia, ma va precisato come in quegli anni la Ducati fosse una grande moto. Assieme abbiamo lavorato bene, centellinando ogni modifica. La 916 era sensibile alle regolazioni, ci vollero tante prove per trovare il giusto assetto, e due titoli vinti di fila nel 1994 e 1995 dimostrarono la bont&agrave; del nostro pacchetto&rdquo;.  Scott Russell     &ldquo;Ho odiato e al tempo stesso amato Carl. Odiato perch&eacute; era veloce e aggressivo. Amato, per la sua voglia di spingersi oltre. Perch&eacute; quel suo pregio ha aiutato pure me, Fogarty mi ha reso sempre pronto a dare di pi&ugrave;. Ci siamo &lsquo;beccati&rsquo; pi&ugrave; volte in pista, poi abbiamo condiviso bei momenti nel paddock. L&rsquo;unica sua pecca? Aveva una Ducati super veloce. Con la Honda fatic&ograve; di pi&ugrave;, ma con la Rossa era davvero tutt&rsquo;uno&rdquo;.  Aaron Slight     &ldquo;Quando Carl arriv&ograve; al mio fianco alla Honda, sapevo che avrei avuto una gatta in pi&ugrave; da pelare. E cos&igrave; fu. Per&ograve;, con Foggy in squadra, mi resi conto di quanto fosse cresciuto in competitivit&agrave; il nostro Team Castrol. Fogarty era veloce, lo abbiamo visto tutti, ma era anche dotato di grande carisma. Ricordo una Brands Hatch completamente colorata dalle bandiere inglesi. Ancora non so come io e gli altri suoi rivali ne uscimmo indenni&rdquo;.  James Whitham     &ldquo;Carl e io eravamo avversari ma amici. Ricordo le tante occasioni in cui, prima di una partenza, lui veniva da me a confrontarsi. Addirittura, Foggy mi chiedeva consigli. Lui era molto forte e competitivo, le sue marce in pi&ugrave; erano la Ducati, con cui ha vinto tantissimo, e sua moglie Michaela. Quando nessuno riusciva a calmarlo, ci pensava lei. E i risultati arrivavano puntuali&rdquo;.  Carl Fogarty, il Campione allergico alla sconfitta  James Toseland     &ldquo;Foggy proveniva dal nord dell&rsquo;Inghilterra, un posto di grande tradizione motociclistica. Sappiamo quanto Carl abbia vinto in pista e i complimenti ricevuti sono pi&ugrave; che meritati. Io, invece, ho una visione differente: le sue vere imprese sono state sull&rsquo;Isola di Man. Al Tourist Trophy lui faceva paura e non aveva paura. Quelle gare, accessibili a tutti, non sono in realt&agrave; per tutti. Lui ha vinto in strada e tra i cordoli, trovate un altro pilota cos&igrave;!&rdquo;.  SBK, Carl Fogarty: &ldquo;Ducati mi faceva sentire il numero uno&rdquo; 

L&#39;icona della Superbike raccontata da alcuni suoi avversari dell&#39;epoca e dai piloti di oggi che rivedono in Carl una figura a cui ispirarsi

SBK, Carl Fogarty: cosa dicono di lui gli altri piloti

Il vincente per antonomasia della prima era della Superbike. Questo &egrave; Carl Fogarty, che per&ograve; nel presente non ama tutto ci&ograve; che ha fatto nei giorni dei grandi successi. E ce lo racconta a cuore aperto, ripercorrendola sua carriera.  Carl Fogarty, il Campione allergico alla sconfitta  Le corse, passione di famiglia   Tuo padre correva, era scritto nelle stelle che avresti gareggiato anche tu?  &quot;Penso di s&igrave;, oggi tengo un sacco di discorsi motivazionali, e tutti mi chiedono dei miei inizi. Alla fine se cresci in un certo ambiente, circondato da determinate cose, finisci per farle tue, che sia a livello professionale o amatoriale. Io sono cresciuto con il desiderio di gareggiare, i miei primi ricordi sono all&rsquo;Isola di Man nella settimana senza scuola per andare a vedere il TT. Ce l&rsquo;avevo nel sangue&quot;.  I tuoi inizi furono con le moto a due tempi, perch&eacute; era la via naturale per quel periodo?  &quot;La 250 era la classe &ldquo;regina&rdquo;, e a ripensarci ora non mi spiego le ragioni. Forse perch&eacute; c&rsquo;era maggiore affollamento, dato che era economicamente pi&ugrave; sostenibile. E quindi io volevo gareggiare in 250: il mio primo sogno da pilota era vincere il Mondiale della 250! Ricordo le qualifiche del GP Gran Bretagna 1986, a Silverstone: ero poco oltre il 20&deg; posto, non fu male, dato che ci fu anche chi non si qualific&ograve;. E in gara and&ograve; anche meglio, con l&rsquo;11&deg; posto, sfiorai la zona punti, che allora venivano assegnati ai primi dieci. Dopo quel debutto, il desiderio di correre nei GP divent&ograve; ancora pi&ugrave; forte. Poi arrivarono i primi infortuni e le cose cambiarono un po&rsquo;&quot;.  E cambiarono anche le moto, con il TT-F1, poi il 1991 fu l&rsquo;anno del vero approdo in Superbike.  &quot;Con la Honda UK. Disputai gran parte della stagione con un budget cos&igrave; modesto da rasentare la barzelletta. Non fu una buona idea. Per&ograve; andai pi&ugrave; forte degli altri piloti che guidavano la mia stessa moto, compreso il due volte campione Fred Merkel. Ma nessuno not&ograve; tali risultati. Chiusi l&rsquo;annata al settimo posto, e si parla di una stagione in cui in pratica tutte le manche andarono ai piloti Ducati. Quindi non fu un cattivo risultato, ma faticai, forse anche per mie responsabilit&agrave;. A livello personale, invece, fu un anno bellissimo: mi sposai e poi arriv&ograve; mia figlia Danielle. Fu un toccasana, perch&eacute; guidare la RC30 era ormai un supplizio, dopo quattro anni&quot;.  Perch&eacute;?  &laquo;La peggior moto all&rsquo;anteriore della mia carriera. Per poco non distrussi la carriera a James Whitham... Dovevo andarmene. Anche perch&eacute; ero convinto di poter stare davanti a chi aveva le Ducati, mi ripetevo che stavo con loro in curva, ma poi in accelerazione le cose precipitavano. Il guaio &egrave; che soltanto io credevo nel mio valore. La separazione dalla Honda fu inevitabile&raquo;  Quale fu la soluzione?  &quot;Mi comprai la moto. E naturalmente fu una Ducati, ovviamente in versione racing e senza troppi chilometri sulle spalle. Investii per quella moto tutto ci&ograve; che avevo guadagnato in due anni con la Honda&quot;.  Quel 1992 ti cambi&ograve; la carriera anche perch&eacute; vincesti il mondiale Endurance: assieme a Terry Rymer, ci fu una coppia inglese a interrompere il predominio francese.  &quot;S&igrave;, anche se quel campionato lo disputai con una Kawasaki. E mi aiut&ograve; a finanziare l&rsquo;attivit&agrave; con la Ducati. Fu un anno importante, perch&eacute; la gente intu&igrave; il mio valore. Vinsi in SBK a Donington, da privato, un fatto pi&ugrave; unico che raro: alla seconda gara stagionale avevo gi&agrave; ottenuto il mio obiettivo. Fu possibile perch&eacute; la mia moto non era troppo inferiore alle ufficiali, e Donington &egrave; un circuito dove il pilota pu&ograve; fare la differenza, perch&eacute; pi&ugrave; della velocit&agrave; di punta conta la guida scorrevole sui curvoni, il mio punto forte. Nel resto della stagione restai alle spalle degli ufficiali, ma non lontano. E per questo la Ducati mi ingaggi&ograve; per la stagione successiva. Il resto &egrave; storia&quot;.  A Donington, il tuo successo arriv&ograve; in Gara 2, mentre in Gara 1 eri caduto quando eri al comando: come recuperasti da quella delusione?  &quot;Dopo Gara 1 sprofondai, non pensavo che mi sarei potuto sentire peggio. Stavo guidando la manche quando scivolai, piegando troppo. In qualche modo mi ripresi e mi presentai sulla griglia di Gara 2. Scattai malissimo, colpa di un problema alla frizione che all&rsquo;inizio slittava tantissimo, ma riuscii a rimontare e a riprendere il comando. Ricordo che ebbi un problema nella gestione del cambio, ma vinsi ugualmente. Ero distrutto dall&rsquo;emozione, al punto che non fui nemmeno in grado di festeggiare con un&rsquo;impennata sul traguardo&quot;.  Fu il momento in cui realizzasti che un giorno saresti diventato campione del Mondo?  &quot;Lo pensavo gi&agrave;, era soltanto questione di essere al posto giusto, sulla moto giusta nel momento giusto. Avevo perso un paio di stagioni a causa degli infortuni, ma non avevo mai smesso di crederci. Dopo quella vittoria, per&ograve; ambi&ograve; il pensiero degli altri nei miei confronti. Ci fu qualcuno che inizi&ograve; a dire &ldquo;&egrave; da anni che questo tizio sostiene di essere un vincente, forse dovremmo ascoltarlo&rdquo;. E comunque nel 1993 ebbi la moto ufficiale. Ma fu un anno di rimpianti, avrei dovuto vincere quel campionato. Fui un po&rsquo; testa calda: troppe cadute quando ero in testa. Vinsi 11 manche, contro le cinque di Scott Russell, che per&ograve; si prese il titolo, anche perch&eacute; io collezionai cinque &ldquo;zero&rdquo;. Fui troppo discontinuo&quot;.  Le vittorie in Ducati e il passaggio in Honda     I titoli arrivarono nel 1994 e 1995, ma dopo quei trionfi decidesti di lasciare la Ducati per tornare alla Honda, ovviamente come prima punta del team: oggi, a quasi 25 anni di distanza, lo rifaresti?  &quot;Ero nella realt&agrave; vincente, perfetta, ma nel 1995 rimasi colpito dalla crescita e dall&rsquo;organizzazione della Honda. Era una vera squadra, e la moto era molto veloce. E poi Neil Tuxworth, team manager della Castrol-Honda, mi fece una corte spietata tutto l&rsquo;anno. Mi ripeteva che avrei guidato un&rsquo;auto Honda, e moto da Cross della Honda. Ma a colpirmi fu l&rsquo;organizzazione della Honda, mentre in Ducati c&rsquo;era un po&rsquo; di caos. Per questo decisi di cambiare, spinto dal vecchio adagio secondo cui l&rsquo;erba del vicino &egrave; sempre pi&ugrave; verde. Ma in quel caso non lo era...&quot;.  Cosa non funzion&ograve;?  &quot;La Honda era veloce, ma non era adatta al mio stile di guida. L&rsquo;angolo di piega a centro curva non era sufficiente. E quindi feci doppietta soltanto ad Assen, dove ero quasi imbattibile. Mi rilanciai nella corsa al titolo, poi si and&ograve; ad Albacete, dove fui quinto e settimo e persi ogni chance, non riuscivo a generare velocit&agrave; in uscita dalle curve. Fu la sintesi della stagione. E c&rsquo;era altro&quot;.  Cosa intendi?  &quot;La Honda era organizzata ma l&igrave; eri soltanto un numero. In Ducati c&rsquo;era un&rsquo;organizzazione non sempre perfetta, ma era bello sentirsi il numero uno. In Honda mi proposero di rimanere un altro anno, ma non mi piaceva, anche se non fu il disastro che tanti hanno voluto disegnare, perch&eacute; arrivai quarto n classifica ma a meno di 40 punti dal campione, Troy Corser. Anche perch&eacute;, alla fine, quell&rsquo;anno fummo tutti un po&rsquo;discontinui, anche Aaron Slight e John Kocinski che a loro volta mi finirono davanti. Mi serv&igrave; un anno intero per tornare perfetto sulla Ducati. E firmai un&rsquo;altra doppietta di titoli: 1998 e 1999&quot;.  Il ritorno a Borgo Panigale     Quale dei quattro titoli Superbike &egrave; stato il pi&ugrave; gratificante? Forse il primo, vinto sul filo di lana nonostante un infortunio?  &quot;Quando il tuo sogno &egrave; il titolo mondiale, e lo conquisti, alla fine la soddisfazione &egrave; sempre enorme. La cosa bella fu l&rsquo;eco dei miei trionfi in patria: fui il primo campione della Superbike nato nel Regno Unito e questo fece crescere l&rsquo;interesse per il campionato nel mio Paese. Il primo titolo fu effettivamente complicato: avevo quasi vinto nel 1993, poi fui costretto a recuperare dalla frattura del polso dopo la prima tappa, cos&igrave; il ritorno dall&rsquo;Australia da campione del Mondo fu incredibile. Fu emozione e sollievo allo stesso tempo. Una sensazione che si &egrave; ripetuta per i trionfi successivi: pu&ograve; essere il primo titolo o il quarto, ma non conta, semmai conta avercela fatta. E alla fine il sapore &egrave; lo stesso&quot;.  Il 1999 fu un&rsquo;annata vissuta a livelli stratosferici, anche se forse le diverse opzioni di pneumatici e set up ti misero un po&rsquo; in difficolt&agrave;. Poi nel 2000 arriv&ograve; l&rsquo;infortunio che ti spinse ad annunciare il ritiro a 35 anni: fu il momento giusto per farlo o sentivi di avere altri anni al top?  &quot;Non avevo scelta. Non posso pi&ugrave; guidare nemmeno ora, a 20 anni di distanza, per colpa del rischio di danneggiare la spalla. La posizione del manubrio per me &egrave; impraticabile. Il ritiro non fu una mia scelta, ma un obbligo, per&ograve; l&rsquo;ho accettato. E anche di buon grado, pur sapendo che in quel 2000 avrei potuto rivincere, perch&eacute; per la prima volta &quot;la Ducati era tornata a essere decisamente pi&ugrave; veloce della Honda. Ma la caduta in Australia mise fine a tutto&quot;.  Che fine ha fatto: Troy Bayliss  &quot;Nel 1999 ero al top&quot;&nbsp;     Qual &egrave; il rimpianto?  &quot;Nel 1999 ero cresciuto ulteriormente, in particolare nella gestione delle gare. Credo di non essere mai stato forte e completo come nella stagione del mio quarto Mondiale, perch&eacute; per troppi anni non avevo usato la testa. Ma quell&rsquo;anno lo feci. Prima davo gas, quando arrivavo al limite, ne davo ancora di pi&ugrave;, e finivo per commettere errori. Ero sempre stato un pilota &ldquo;di cuore&rdquo;, ma nel 1998 iniziai davvero a usare la testa, e vinsi il campionato. Nel 1999 ero in una condizione in cui ero certo che nessuno mi avrebbe battuto, ero semplicemente il migliore. Sapevo che, svolgendo il corretto lavoro per la messa a punto nelle prove, in gara sarebbe andato tutto liscio. Anche se con le gomme, hai ragione...&quot;.  Scelta difficile?  &quot;Aprimmo il camion e trovammo 300 gomme, dalle quali &ldquo;estrarre&rdquo; quella che mi avrebbe permesso di correre al top per 15-20 giri. Scegliere le gomme fu pi&ugrave; difficile che vincere&quot;.  In Superbike hai ottenuto risultati che ti hanno proiettato nella leggenda, c&rsquo;&egrave; per&ograve; il rimpianto per non aver avuto una carriera nel Motomondiale?  &quot;Onestamente, non ho mai avuto una vera occasione. C&rsquo;era abbastanza &ldquo;politica&rdquo; in tutto questo, a livello di sponsor. Ebbi un incontro con Kenny Roberts in Spagna, a fine 1995, per poter entrare nel Team Marlboro Yamaha, sembrava una buona occasione su una moto adatta alle mie caratteristiche. Sono convinto che su quella moto avrei vinto delle gare e avrei lottato per il titolo, non mi importa di chi la pensa diversamente. Anche perch&eacute; da wild card sulla Cagiva, a Donington nel 1993, sarei andato sul podio se soltanto non fossi rimasto senza benzina. Era una moto che non avevo praticamente mai provato, eppure iniziai con il secondo tempo nelle prove del venerd&igrave;, e nessuno se lo ricorda...Io invece ricordo che iniziai a cercare il mio nome sullo schermo dall&rsquo;ottavo posto in gi&ugrave;, e non lo trovavo. Ma attorno a me vedevo gente sorridente, molto sorridente: ci credo, ero secondo dietro Wayne Rainey, davanti a Kevin Schwantz e Mick Doohan! Il sabato, per&ograve;, caddi in modo pesante, colpa di un attimo di deconcentrazione, e praticamente persi l&rsquo;intera giornata. Per la gara, dove scattai dalla seconda fila, tirammo a indovinare tutto: assetto, gomme. Alla fine ero terzo, nonostante problemi con la gomma anteriore e i freni, ma fin&igrave; la benzina! Conclusi quarto. Non male, per essere stata la parentesi di un weekend su una moto non mia&quot;.  Quello con Roberts fu l&rsquo;unico incontro per correre in 500 stabilmente?  &quot;Parlai anche con Garry Taylor per il Team Lucky Strike Suzuki. Ma come accadde con Roberts, anche loro mi fecero capire che, pur volendomi, non avrebbero potuto ingaggiarmi: lo sponsor voleva altri nomi. Almeno, questo &egrave; ci&ograve; che mi venne raccontato, e non conosco tutta la storia. Forse ho le mie responsabilit&agrave;, non mi ero &ldquo;venduto&rdquo; bene, dicendo a volte cose poco diplomatiche. Ma come pilota, avevo uno stile di guida paragonabile a Luca Cadalora, Max Biaggi, Carlos Checa, gente che ha avuto successo in 500. E non credo che loro fossero pi&ugrave; forti di me. Credete davvero che sui curvoni di Donington o Assen non avrei potuto vincere nella stessa 500? Credetemi, avrei vinto anche in 500. Guardate Simon Crafar, che non ha mai vinto in Superbike, ma l&rsquo;ha fatto in 500. Non dico che avrei vinto il titolo, perch&eacute; sarebbe servito battere Doohan nell&rsquo;arco di una stagione, ma sarei stato competitivo. Ripenso a Cal Crutchlow, quando ha vinto in MotoGP: non dico che l&rsquo;ho invidiato, ma avrei voluto esserci io al suo posto, come primo inglese a vincere in top class dopo Barry Sheene. Avrei voluto che di Cal si dicesse: il primo inglese a vincere in top class dai tempi di Fogarty&quot;.  L&#39;esperienza televisiva     In compenso hai vinto il reality show nella giungla.  &quot;Un grande successo, anche perch&eacute; diventato lo show televisivo pi&ugrave; visto nel Regno Unito. Non fu facile partecipare, perch&eacute; mia moglie Michaela era contraria. Le rispondevo: &ldquo;Tranquilla, con il mio carattere sar&ograve; il primo a essere eliminato&rdquo;. &Egrave; invece &egrave; stata una bella avventura, una sorpresa, perch&eacute; &egrave; stato tutto emozionante&quot;.  Celebre il tuo &laquo;Non ho paura, andiamo&raquo; nella vasca con i rettili.  &quot;S&igrave;, e ricordo che quando uscii dalla vasca per essere intervistato, avevo ancora uno di loro attaccato al costume. Il presentatore mi disse &ldquo;Sei contento di rivederci Foggy?&rdquo;. Io iniziai a gridare &ldquo;C&rsquo;&egrave; un serpente nel costume&rdquo;. A quel punto dovettero intervenire i domatori, tra i quali una ragazza e io le gridai: &ldquo;Vedi di prendere il serpente giusto&rdquo;. Fu la battuta pi&ugrave; divertente della mia vita, ed era sulla TV nazionale&quot;.  E dire che quando correvi non eri proprio morbido, ma forse avevi bisogno di crearti dei rivali per man-tenere la motivazione alta. Ora che non corri pi&ugrave; sei quasi &ldquo;zen&rdquo;.  &quot;Se oggi ripenso a com&rsquo;ero quando correvo, un po&rsquo; mi sento in imbarazzo. Anzi, forse dovrei pentirmi di certi atteggiamenti. Ma in fondo ero proprio cos&igrave;, almeno in pista. A questi livelli di competitivit&agrave;, si &egrave; quasi costretti a odiare chi sta cercando di precederti e di batterti. E nel mio caso, funzionava. Ai tempi, tutto ci&ograve; che dicevo lo sentivo e lo pensavo, ma se tornassi indietro, non ripeterei certe cose, e mi limiterei a parlare in pista. Ricordo anche che fuori dai circuiti ero una persona differente, ero molto pi&ugrave; timido. Per&ograve; in pista, pi&ugrave; vincevo e pi&ugrave; diventavo arrogante, non riuscivo a fermarmi. Credo che ai fans piacesse, e che ai media piacesse, eravamo in piena era &ldquo;Britpop&rdquo;, c&rsquo;era Sky Sports a gettare benzina sul fuoco. Tornassi indietro, agirei in modo differente e terrei la bocca molto pi&ugrave; chiusa. Forse la pressione legata al desiderio di vincere mi ha fatto esagerare, fino a generare una sorta di follia&quot;.  Scatto Sprint: gli anni di Bontempi e Gobert in Kawasaki 

&quot;Ho vinto quattro titoli in modi diversi, prima con il cuore e poi con la testa, e un comune denominatore: la Ducati che mi forniva una moto perfetta. Ho dei rimpianti: se avessi avuto un&rsquo;occasione, in 500 sarei stato protagonista&quot;, racconta Carl &nbsp;

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